copertina-universit_-libera-et_-mirandolaCaro Tito, adesso ti racconto come è andata a finire la vicenda dell’Università Popolare, di cui ti ho dato cenno precedentemente con la “Lettera su Badolato n. 34” riguardante la “GUIDA MONACI” …. cioè quella specie di “motore di ricerca” (in forma cartacea, però) antesignano di un attuale motore di ricerca internet, che mi toccava consultare per trovare le “Università Popolari” italiane ivi riportate. Fosse stato oggi, giovedì 28 settembre 2017, sarebbe bastato premere un bottone di un qualsiasi “computer” per fare la ricerca su “Google” e, una volta trovato quanto cercavo, avrei potuto contattare direttamente con una mail i miei interlocutori. Tutto in tempo reale!

Invece, in quegli inizi di novembre 1975, dovetti recarmi alla Stazione Termini da Via dei Campani 26 dove abitavo (quasi 3 km) per sfogliare la GUIDA MONACI più vicina. Cercai, trovai e mi trascrissi alcuni indirizzi di Università popolari italiane cui ho immediatamente scritto e spedito una lettera raccomandata per chiedere informazioni (altri 3 km per l’ufficio postale più vicino). Alcune risposero inviandomi stampati con statuto e altra documentazione per me assai importante per delineare i parametri entro cui fare agire una simile “istituzione” (un’associazione culturale come tante altre ma con più ampi adempimenti). In pratica, ho impiegato una intera mezza giornata per fare tutto ciò, mentre oggi, con internet, sarebbe bastato impiegare soltanto qualche minuto. Che bel risparmio di tempo e di energie! Ah, il buon progresso!…

LE MOTIVAZIONI DELL’UNIVERSITA’ POPOLARE BADOLATESE

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La mia principale idea era quella di unire, in seno all’Università Popolare Badolatese, tutte le componenti sociali, politiche, economiche, culturali, sportive ed associative del mio paese …. allora una comunità assai massacrata dalle divisioni politiche. Volevo realizzare un “tavolo unico d’intesa” (come si direbbe oggi) per il bene anche dell’interzona.

Come vedi, caro Tito, lavorando per Badolato ho sempre pensato alla sua più “naturale” interzona. Questo pure perché non si può crescere bene da soli … si ha bisogno di una “ruga” (caseggiato, rione) … e la “ruga” di Badolato era e resta formata dai paesi vicini, quelli rivieraschi e montani (orizzontali e verticali) … tali e quali quelli pensati turisticamente per il Consorzio “Riviera degli Angeli” (ma, adesso, con l’Università popolare, in funzione socio-culturale ed aggregativa nel modo più ampio possibile).

Solitamente, un’idea è come una sorgente che, pur sgorgando all’improvviso, ha centellinato e poi accumulato la sua acqua. E questa idea dell’Università Popolare si è formata in me in tanti anni, prendendo (come un’ape) il fior fiore della cultura che, attorno a me, si manifestava. Ma, in fondo, cosa è questa “Cultura”? … Possiamo considerare “Cultura” tutta una serie di idee, esperienze, azioni, espressioni, motivazioni e convincimenti che si fanno sintesi e sistema nel quotidiano degli individui e dei gruppi sociali (nell’arco di una o più generazioni) come scelte, azioni ed atteggiamenti che (provenienti da elementi di avanguardia e di tendenza) diventano poi comuni manifestazioni fino alla prossima novità come moda e stile del momento o come segno duraturo di spiritualità, intelletto ed etica comportamentale tali da diventare valori permanenti di riferimento e di identità per una persona o una comunità.

L’Università Popolare non era altro, in fondo in fondo, che il contenitore, il mezzo per intercettare tendenze internazionali e realizzare incontri di discussione e di studio nell’àmbito di mode provvisorie e di valori antichi e nuovi affinché la singola persona e la comunità potessero crescere sempre meglio, riversando nella società locale e globale il meglio della loro elaborazione e formazione.

copertina-rivista-liberet_-spi-cgil-auserPer giungere ad ipotizzare l’Università Popolare come momento associativo tra persone che vogliano intraprendere veri e propri percorsi formativi oppure semplice occasione di svago e di intrattenimento, mi sono servito della mia esperienza personale ma specialmente di tutto ciò che era giusto ed utile valorizzare del proprio ambiente così come del mondo. Oggi si direbbe una cultura “glocal” (globale e locale).

Ad esempio, talune idee ho preso da mio padre e da mia madre (miei primi veri e grandi maestri di vita) e dalla prossimità socio-culturale costituita da parenti, amici e compaesani, prendendo spunto dai comportamenti più interessanti. Come il tipo di insegnamento utilizzato dall’insegnante elementare badolatese Teddy Cotilli (adesso assai rimpianto ed allora nostro contemporaneo) il quale era solito portare gli alunni fuori dall’aula per spiegare loro il territorio (flora, fauna, manifatture umane, ecc.). Quanti di noi, ancora oggi, non riescono a distinguere o riconoscere i vari generi di alberi, di cespugli, di frutta, di verdura, di erbe campestri, di fiori, di rocce ma anche di animali di superficie, di cielo e di mare?!…

Inoltre, pure io ero convinto che ogni persona anziana era una “biblioteca vivente” (come alcuni affermavano cercando di valorizzare l’esperienza e la saggezza di chi aveva vissuto molto). “Ogni anziano o vecchio che muore è una biblioteca che brucia” ero solito leggere o ascoltare. E, allora, prima che bruci cerchiamo di utilizzare al massimo possibile tutta l’esperienza di ogni persona. Così pensavo ad una “Casa del travaso” dove ognuno potesse travasare ad altri la propria conoscenza. Un travaso reciproco!

Ho pensato alla “Casa del travaso” mentre mio padre era intento a travasare il vino dalle botti alle damigiane. Poi, nel 1993 ho usato tale dizione per la neonata “Università delle Generazioni” per un “travaso” intergenerazionale. Insomma, nell’Università Popolare del 1975 ognuno poteva salire in cattedra per insegnare, per “travasare” ad altri il proprio contenuto esperienziale e valoriale. In tale contesto, mi sentivo un “eterno alunno” proprio perché avevo da imparare da tutti, pure dai bambini!…

Altro elemento cui ho attinto ispirazione era la “Scuola popolare serale” che mia sorella Vittoria (tra il 1958 e il 1962) teneva in casa nostra ad una dozzina di anziani quasi tutti contadini (considerati ufficialmente “analfabeti”) per cercare di far fare a loro almeno la firma (specialmente da usare nell’Ufficio Postale al prelevamento della pensione senza avere bisogno di due testimoni). Quella Scuola Popolare (statale) era pure una preziosa occasione di socializzazione e di condivisione tra i presenti. Per esteso e per conseguenza, l’Università Popolare poteva essere anche sede per colmare lacune culturali di ogni genere, ma anche aprire gli occhi sulla nostra salute e sui prodotti che ingeriamo.

Per questo fatto della salute, mi sono ispirato, ad esempio, ai seguitissimi corsi di educazione igienico-sanitaria che nei primi anni sessanta Angelica Lazzaro della vicina Santa Caterina dello Jonio aveva organizzato nell’asilo infantile di Badolato Marina di cui era direttrice (la migliore avuta finora, che io sappia). Angelica Lazzaro era una donna di grande stile, di bel portamento ed uno spirito davvero sublime. Lo so molto bene per aver collaborato con lei in questa come in tante altre iniziative. La signorina Angelica faceva, con infinita passione e ineguagliabile senso di responsabilità sociale, sempre molto più del proprio dovere. Poteva limitarsi benissimo ad attenersi al suo ruolo di direttrice di scuola materna … invece, una volta che i bambini erano andati a casa, faceva entrare gli adulti che avevano bisogno o erano interessati ad integrare le proprie conoscenze … come quelle utilissime sulla propria salute in tempi in cui, purtroppo, l’igiene non era ancora adeguatamente praticata (più per mancate informazioni e carenza di infrastrutture che per cattiva volontà o indolenza). Infatti, allora era assai ricorrente un proverbio popolare adottato da quasi tutti “Poveri sì ma sporchi perché?” (Povari sì ma lordi pekkì?). Quel termine “sporchi” s’intendeva pure come “malvestiti” o “senza dignità”.

Una particolare attenzione, l’Università Popolare badolatese avrebbe dovuto riservare alla conoscenza della cultura locale e specialmente al dialetto, aspetti assai sentiti dai cittadini di ogni classe sociale. Ne avevo avuto sicurezza durante le fono-registrazioni per la tesi di laurea, durante le ricerche che l’insegnante Immacolata Larocca faceva fare ai suoi alunni della scuola elementare di Badolato Superiore, nei primi anni settanta. In particolare, grande valorizzatore della cultura popolare e del dialetto era allora (nel 1975) il prof. Nicola Caporale (insegnante elementare laureato e docente nella scuola media). Costui, ha cantato Badolato e la sua gente in ogni suo aspetto (poesia, prosa, pittura, musica, scultura, fotografia, giornalismo, territorio, ecc.). E, come ti ho scritto in altre lettere precedenti a questa, io stesso ero profondamente e convintamente innamorato della nostra lingua-madre, che denominiamo “dialetto” impropriamente e soltanto per farci capire più immediatamente. Ma ogni dialetto è una lingua vera e propria. La lingua madre di ognuno di noi, la nostra più evidente identità ed appartenenza.

Ed io stesso ero assai interessato allo studio dei nomi e dei soprannomi, della toponomastica rurale ed urbana. Inoltre era stato sempre un mio cruccio far conoscere a tutti (specialmente a bambini e giovani badolatesi) i personaggi storici di Badolato ma anche i protagonisti del presente (alcuni, ad esempio, non conoscevano il sindaco o gli assessori o i consiglieri comunali, ma nemmeno il capo-stazione, il maresciallo e le altre figure che formavano la nostra “classe dirigente” e di riferimento nell’utilità sociale). Insomma, come dice un nostro antico proverbio “Chi più sa dica, chi più può faccia”. Infatti avrebbe potuto essere questo proverbio il sottotitolo indicativo del compito sociale dell’Università Popolare badolatese.

Come puoi leggere sotto (nelle “Letture parallele”) le Università Popolari erano state fondate a metà del secolo 19° (1800) nel centro-nord Europa da movimenti operai e sindacali proprio per l’emancipazione delle classi povere che non avevano accesso alle Università degli Studi che, allora monopolio delle classi ricche, rilasciavano attestati e abilitazioni alle professioni-guida di ogni nazione. Le Università Popolari non erano nate per rilasciare alcun tipo di diploma ma per dare più cultura e, quindi, più consapevolezza e maggiore forza contrattuale ai lavoratori quando si trattava di rivendicare migliori diritti e condizioni di vita.

In Italia le prime “Università Popolari” sono state fondate a Trieste (nel 1899), a Venezia e Torino (1900), a Milano, Parma, Monza (1901), e nel 1902 a Roma, Messina, Napoli, Mantova, Genova, Benevento, Como, Livorno, Pisa, Piacenza, Ferrara, Palermo, Alessandria. E così via. Tutta Italia (penisola e isole comprese) presentava città (grandi e piccole), paesi e persino borghi con variegate “Università Popolari” specialmente là dove c’erano le “Camere del Lavoro”, le “Società di Mutuo Soccorso”, il “Movimento cooperativo”, il “Credito cooperativo”, le “Banche popolari”, ecc. (legando, così, la cultura al lavoro, alla solidarietà, a strutture di progresso e di crescita generale delle classi popolari). Sullo sfondo, la solidarietà sociale!

A quei tempi era così tanto sentita ed importante tale nuova istituzione che si sono impegnati ad appoggiare direttamente le “Università Popolari” numerosissimi intellettuali di grande valore (anche internazionale) del calibro di Gabriele D’Annunzio, Benedetto Croce, Gaetano Salvemini, Luigi Einaudi, Edmondo De Amicis, Giovanni Pascoli, Roberto Ardigò, Concetto Marchesi, Gioacchino Volpe, Ludovico Mortasa, Giovanni Bovio. Mentre, altre personalità di grande prestigio collaboravano in prima persona alla miglior riuscita di tali esperienze come, ad esempio, il leader politico Andrea Costa (primo deputato socialista d’Italia), i pedagogisti Maria Montessori ed Enrico Pestalozzi, il criminologo Alessandro Groppali, l’anarchico Luigi Fabbri, l’editore Treves, il geografo Emile Reclus e tanti altri pure provenienti dall’estero.

IL BOICOTTAGGIO COMUNISTA

Così, a Roma (nella seconda decade del novembre 1975, una volta stilato l’elenco delle motivazioni-base dell’Università Popolare badolatese) non ho voluto perdere tempo, poiché pensavo di aver trovato una “formula” per mettere d’accordo tutti i badolatesi su un progetto fattibile e condivisibile da tutti proprio perché tutti potevano avere e giocare un ruolo assai efficace. Perciò, scesi immediatamente a Badolato con il primo treno e, una volta arrivato, senza esitare un minuto cominciai le … “consultazioni”.

Come avevo previsto, tutti aderirono, compreso il PCI e l’UDI (i maggiori scogli da superare, considerato il fatto che la “Terza Lista” era stata cosa di appena 5 mesi prima). Bene, allora si parte con la prima convocazione generale per approvare lo Statuto, per redigere il quale lo storico locale prof. Antonio Gesualdo ebbe un chiaro mandato da un Comitato provvisorio, in una precedente e ristretta riunione organizzativa tenutasi al Centro Culturale di Via Nazionale. Gesualdo (1936) era considerato la massima figura culturale del nostro paese, assieme al professore Nicola Caporale (1906 – 1994), il quale, ormai anziano e ragionevolmente scettico su tutto e tutti, aderì soltanto per rispetto a me personalmente. Tuttavia, non senza mettermi in guardia: “A Mimmareyhu, tu cui comunisti voi u ti menti? … hai u vidi chi ti cumbinanu!” (A Mimmarello, ti vuoi mettere con i comunisti? … vedrai cosa ti combineranno!). Preveggente e profetico, come sempre!

Sono riuscito persino a convincere ad aderire persino i Testimoni di Geova locali (allora coordinati dall’agricoltore ed ex-emigrato Giuseppe Caminiti che abitava a Badolato Superiore nei pressi di piazza San Nicola). A Giuseppe e famiglia mi lega ancora una vera fraterna e devota amicizia. Solitamente i Testimoni di Geova sono molto restii a partecipare ad incontri prodotti da altri, come è successo a me nel 1985 in Agnone, quando stavo organizzando il primo Convegno internazionale ed interconfessionale “Amore e Religione”. In quell’occasione, il coordinatore dei Testimoni di Geova dell’Alto Molise mi diede la disponibilità a partecipare, pure come relatore, alla prevista tre giorni agnonese … ma poi, scusandosi, mi ha riferito che la loro Congregazione centrale di Roma aveva dato parere negativo.

Manifesto Banca del tempoLa mattina dell’8 dicembre 1975, decine e decine furono i rappresentanti di altrettante associazioni badolatesi seduti attorno ad un unico tavolo per ascoltare l’illustrazione dello Statuto redatto da Antonio Gesualdo e per dare il via operativo all’iniziativa. Devo precisare, anche ad onore di tutti coloro che si sono impegnati per la riuscita di tale solenne incontro (che potremmo considerare come “gli Stati Generali di Badolato”, che in questo mio paese natìo (dal 1960 ad oggi, se ben ricordo) non si era mai avuta una simile Assemblea con tutte le componenti sociali (nessuna esclusa, pure la Coldiretti e le associazioni sportive). Come osservatori interessati a quanto avveniva, erano presenti pure alcuni rappresentanti di paesi vicini.

La totale adesione delle associazioni locali fu il primo vero e grande risultato (ancora insuperato, ripeto) dell’Università Popolare Badolatatese (purtroppo mai realizzata). Ed io personalmente vado ancora veramente “fiero ed orgoglioso” per essere riuscito, con la collaborazione di tutti, a portare proprio tutte le componenti sociali (organizzate) ad un incontro utile indistintamente per tutta la comunità locale ed interzonale. Posso ben affermare che è stata questa dell’Università Popolare l’iniziativa che, nonostante tutto, mi ha dato più soddisfazione, in assoluto, poiché è stata un’impresa originale mai riuscita ad alcuno. Almeno finora, ribadisco.

Infatti, dopo la lettura dello Statuto, si avviarono i commenti , tutti favorevoli, meno quelli del PCI e dell’UDI (cioè i comunisti locali), i quali criticarono aspramente l’iniziativa, accusandola (con veemenza quasi da Crociata e persino con arroganza) di fantomatici tentativi capitalistici di imbrogliare il “popolo di Badolato”. Furono tali e tante le brutte parole dei comunisti ivi presenti che tutti gli altri si sentirono irritati ed offesi. Qualcuno disse: “Ma se non volevate aderire, perché siete venuti a rompere le uova nel paniere a gente tranquilla che vuole realizzare qualcosa di socialmente buono in questo paese dove c’è ancora troppo poco di buono?” A dare manforte al dissenso PCI-UDI si alzò un giovane consigliere comunale appena eletto nella lista della Democrazia Cristiana e da qualche settimana uscito polemicamente dal suo partito. Ma, almeno, costui non ha fatto alcuna polemica come erano soliti fare i comunisti locali quando si trattava di iniziative altrui. Ha esposto soltanto il suo pensiero che non mirava certo a sfasciare e a distruggere.

giuseppe-pellizza-da-volpedo-quarto-stato-1901-museo-del-900-milanoOvviamente, i comunisti badolatesi erano grande artisti nel riuscire ad irritare le persone e, quindi, ci fu un lascia lascia generale, qualcuno imprecando mentre si allontanava: “Ecco i soliti comunisti !… sono come Attila … distruggono tutto ovunque passano loro!”. Ma ci fu pure chi, cercando di ragionare pacatamente, disse ai comunisti presenti che l’Università Popolare era stata diffusa in Italia proprio dai socialisti, loro predecessori ideologici, una settantina di anni prima e favore del popolo. Niente da fare!

Restammo, comunque, tutti allibiti … anche perché i comunisti governavano il Comune e, quindi, avrebbero dovuto avere maggiore cautela e responsabilità. Così facendo i comunisti, con i loro atteggiamenti ormai fin troppo conosciuti, avevano ottenuto ciò che si erano prefissati … “boicottare” l’Università Popolare Badolatese. Proprio come avevano boicottato nel 1972-73 la “Riviera degli Angeli” ed altre iniziative che non gradivano o non erano loro vicine ed ossequiose. I comunisti badolatesi ormai erano abituati a distruggere il lavoro altrui senza costruire nulla di alternativo.

Sono, queste dei continui boicottaggi, vere pagine nere del cosiddetto “movimento operaio” locale spesso (molto) male rappresentato dal Partito Comunista di Badolato dagli anni sessanta in poi, al contrario della loro precedente “generazione epoca” che cercava di unire i badolatesi! … Alcuni comunisti più anziani, però, mi chiesero scusa per il comportamento dei “giovani” del Partito, irruenti perché avevano ancora poca esperienza. Questi anziani solidali erano permanentemente imbarazzati per il comportamento di alcuni dirigenti (non solo locali) che si erano impadroniti del Partito e di un patrimonio che non sempre sapevano ben interpretare o rappresentare.

Qualcuno, poi, mi disse che quella dei comunisti badolatesi era una rappresaglia contro di me personalmente, in quanto primo promotore di quel tipo di Università ma pure della Terza Lista che, alle elezioni comunali di cinque mesi prima, aveva tentato – secondo loro – di estrometterli dal governo comunale lungo già 30 anni. Ma, a chi mi faceva una simile osservazione, rispondevo che nel 1972 (in tempi molto anteriori e non sospetti) i comunisti badolatesi avevano già boicottato il tentativo interzonale di realizzare il Consorzio turistico “Riviera degli Angeli”. Insomma, chi era al potere a Badolato non riusciva a digerire iniziative provenienti da quella che oggi si chiama “società civile” … cioè da chi vuole agire senza marchi politici e partitici, ma nell’interesse generale e soltanto per “amore” del proprio paese. Così il PCI badolatese era diventato, con gli anni, un vero “regime” totalitario e divisivo, perdendo quella felice democrazia che aveva ben costruito all’inizio del suo agire (dal 1943 al 1960).

Se i comunisti boicottavano, quelli della Democrazia Cristiana (altro polo partitico locale) stavano zitti o, al massimo, si limitavano a proteste rituali senza alcun risultato utile. Era questa la liturgia partitocratica badolatese (il cosiddetto “gioco delle parti”). E in Consiglio Comunale nessuno (né da parte PCI né da parte DC) evidenziava il comportamento di un gruppo di comunisti (specialmente giovani) sempre pronto (con l’appoggio o la presenza di qualche dirigente adulto o addirittura anziano) ad inveire, boicottare, distruggere. Saranno stati, quelli, anni della contestazione generalizzata (intolleranza, interventi divisivi, ecc.) … ma un po’ di buon senso non guasta mai, poiché altrimenti si perde di vista il “bene comune”!

Comunque, in generale, i comunisti non si accorgevano che, così facendo, parte della gente (anche quella a loro vicina) cominciava proprio a stufarsi di atteggiamenti distruttivi verso altri e autolesionisti verso il Partito. Non a caso cinque anni dopo, nel giugno 1980, hanno dovuto bere l’amaro calice della sconfitta e della minoranza, abbassando la superba cresta. Purtroppo, a causa di taluni esagitati, Badolato (considerata la “Roccaforte rossa” per via delle grandi lotte contadine e dei proselitismo interzonale) adesso veniva disprezzata per questi anni assai bui della politica locale.

cooperazione-solidariet_-valoriE, mentre i paesi dell’interzona progredivano in ogni settore (anche grazie a imprenditori badolatesi che non avevano trovato spazio nei confini comunali per una miope politica locale), Badolato iniziava un lento ma inesorabile declino, che alcuni volenterosi indipendenti dalla partitocrazia (me compreso, spesso come avanguardia socio-culturale) cercavano di scongiurare con attività ed iniziative adatte a tenere alto il buon nome del nostro paese (che era stato sempre leader interzonale)!

Tuttavia, a dimostrazione che il resto della Calabria era interessata all’iniziativa dell’Università Popolare Badolatese, ha partecipato all’Assemblea generale (purtroppo fallita) il giornalista Enzo Arcuri, inviato della RAI- Radio Televisione Italiana, sede di Cosenza, il quale ha realizzato una lunga intervista ad Antonio Gesualdo, poi trasmessa dall’unica radio ascoltata allora in Calabria (prima delle radio private intervenute nella primavera 1976). Tra tutti i miei documenti, dovrei avere la bobina della registrazione originale, dono dello stesso Enzo Arcuri nel febbraio 1976 nella sede Rai di Cosenza, mentre ero militare in quella città.

Caro Tito, questi erano i tempi, taluni uomini e talune donne di Badolato nel dicembre 1975. A furia di “non fare e non lasciare fare” … questo paese (che pur vantava qualcosa di buono nel corso dei suoi dieci secoli di vita) rischiava veramente, in quegli anni settanta, di significare poco o niente, nonostante (ripeto) i lodevoli sforzi da parte di alcuni volenterosi.

Da parte mia, continuando per la mia strada, ho poi cercato di fare in Agnone del Molise (dal 1983 in poi) ciò che mi è stato impossibile realizzare a Badolato. Te ne fornirò un elenco dettagliato più in là nel tempo, al momento giusto … a “Lettera” opportuna. Però, mi sembra utile (ai fini del presente discorso) ricordarti che nell’ottobre 1993 (vale a dire 18 anni dopo il boicottaggio dell’Università Popolare Badolatese) ho concretizzato proprio in Agnone la “Università delle Generazioni”, che può essere considerata proprio come una “Università Popolare” e che tanto lusinghiero successo ha avuto e tanto lavoro socio-culturale ha fatto (anche a livello internazionale).

IL PARADOSSO COMUNISTA

Ormai è divenuto proverbiale il fatto che la cosiddetta “Sinistra” italiana (dai Socialisti ai Comunisti in tutte le loro divisioni e sfaccettature) è autolesionista a livello nazionale (anche quando riesce ad andare al governo). “Non facciamoci del male!” è l’esclamazione più ricorrente ormai da troppi decenni. L’esempio, appena riportato, del boicottaggio di una iniziativa tipicamente di “Sinistra” come una Università Popolare da parte del Partito Comunista badolatese costituisce davvero un eclatante “paradosso” e ne conferma la tendenza autolesionista pure a livelli locali.

Infatti, come ho già ricordato, l’Università Popolare è una assai lodevole e meritoria iniziativa social-comunista in Europa come in Italia fin dalla metà del 1800. Inoltre, solitamente dietro altre simili iniziative socio-culturali ancora attuali e in pieno servizio, ci sono proprio il Partito Comunista Italiano e il movimento sindacale (principalmente quello della C.G.I.L. – Confederazione generale italiana del lavoro).

LA CASA DEL POPOLO

cogito-ergo-sum-unitre-triesteAd esempio, in Italia ancora prima dell’Università Popolare, nacque in àmbito socialista la cosiddetta “CASA DEL POPOLO”. Come spesso capita nel nostro Paese (che importa esperienze estere, senza quasi mai essere di per se stesso originale), le “Case del Popolo” nascono in centro Europa (proprio come l’Università Popolare), sempre nella seconda metà del 1800 e rispondono ad esigenze di sviluppo e funzionamento di cooperative di lavoro e consumo e di un complesso di servizi culturali, assistenziali, mutualistici e ricreativi. La prima “Casa del Popolo” nasce, in Italia, tra l’8 e il 10 settembre 1893 durante il secondo Congresso socialista a Reggio Emilia.

Culturalmente rappresentava la visibilità del movimento, la sua stabilità, l’unità e la solidarietà popolari, la dimostrazione pubblica della propria capacità etica e tecnica, il senso di un profondo radicamento sul territorio, la conservazione della memoria. Infine, essa simboleggiava il centro coordinatore dell’insieme associativo socialista, il modello della futura società, il nucleo di un socialismo che si sarebbe gradatamente allargato fino a comprendere il comune, la vita economica e l’intera società civile. In questo senso, la Casa del Popolo conteneva la speranza della società futura e dell’uomo nuovo socialista.

L’UNIVERSITA’ DELLA TERZA ETA’

caffe_letterario-di-rola-logoL’Università della Terza Età in quanto tale pare sia nata a Tolosa (Francia). In Italia è una iniziativa d’importazione (come di consueto). E la prima sembra essere stata realizzata a Torino nel 1975, ma importanti sono state le esperienze di Trento e Vicenza fin dal 1982. Sintetizzata nella dizione di “Unitre” l’obiettivo fondamentale di questa istituzione è accogliere e motivare le persone di qualunque età, emarginate o uscite dal ciclo produttivo. L’Unitre le rende attive e motivate affinché, partecipando a uno o più progetti, sappiano trasformarsi da “forza-lavoro” in “forza-cultura”, per avere modo di liberare la propria creatività, riappropriandosi di ruoli significativi e di un tempo libero ritrovato che non ha età.

Tempo libero. Ecco, alcune associazioni aggiungono tale dizione e, quindi, si trovano spesso le “Università della terza età e del tempo libero” … ma è facile trovare altre dizioni con aggiunte di sostantivi e di aggettivi a seconda delle situazioni e delle località. Come le “Università Popolari” le UNITRE hanno la loro organizzazione di coordinamento nazionale. Dietro tali associazioni prettamente culturali-ricreative ci sono anche i partiti e sindacati di ogni colore, pure dal momento che gli utenti di tali istituzioni private sono potenziali votanti. E i voti elettorali fanno gola a tutti. Ma ce ne sono di veramente libere.

Chiaramente legate al Partito Comunista (prima) adesso PD – Partito Democratico e alla CGIL (confederazione generale italiana del lavoro) ci sono lacune grandi iniziative nazionali a favore prevalentemente di anziani e disabili, come la “Banca del Tempo”, l’AUSER (associazione per l’autogestione dei servizi e la solidarietà) e il movimento “Liberetà” del Sindacato Pensionati Italiani della CGIL. Premesso che gli anziani sono una grande risorsa (specialmente elettorale), attiva e positiva, per la società civile, le associazioni, i sindacati, gli enti per “soggetti deboli” (anziani, disoccupati, disabili, persone sole, ecc.) sono un esercito in Italia. In Calabria molto attiva e qualificata è l’Università della Terza Età di Soverato (CZ) cui convergono le persone interessate di tutto il nostro comprensorio jonico.

Personalmente nel 1993 (pure come “protesta” verso tale dizione “Terza Età” che mi puzzava di ghettizzazione degli anziani) ho intitolato la mia iniziativa “Università delle Generazioni” affinché tutte indistintamente le generazioni possano incontrarsi (come era nella ruga dei nostri paesi) per “travasarsi” tutto ciò che va travasato tra le diverse età (dal bimbo al super-nonno centenario).

ALTRE AGGREGAZIONI

auser-bollino-universit_-popolare-auserL’istinto di aggregarsi non appartiene soltanto ad alcuni animali, ma distingue principalmente gli esseri umani. Da questo loro “associarsi” sono nate, essenzialmente, le piccole come le grandi civiltà. La solitudine, infatti, salvo eccezioni, porta alla depressione e all’autodistruzione. Così in tutto il mondo, anche in campo culturale sono in esercizio (più o meno attivo) una miriadi di associazioni e sedi operative, che hanno ormai i nomi più diversi ed accattivanti.

Probabilmente i più antichi sono i “Caffè Letterari” di settecentesca memoria, i “Cenacoli” e i “Circoli” culturali. Per assonanza, ci sono i “Parchi Letterari” (fondati dallo scrittore Stanislao Nievo 1928-2006). Provenienti dalla moda di New York si sono diffusi rapidamente in Italia i cosiddetti “Book-Bar” dove è possibile trovare libri, cultura e ristorazione veloce. Così come nei “Biblio-caffè” e via dicendo.

Tra i badolatesi, si sono distinti in questo genere di utile aggregazione l’architetto Vincenzo Pultrone (che ha fondato ed anima il grande Caffè Letterario di Roma, sito negli ex Mercati Generali di Via Ostiense 95) e l’insegnante in pensione Luisetta Caporale che ha fondato il “Circolo Letterario” intitolato al padre scrittore ed artista Nicola Caporale (1906-1994).

L’UNIVERSITA’ DEI POPOLI

La mattina dell’8 dicembre 2000 (data non casuale, poiché intende ricordare quell’8 dicembre 1975 dell’Università Popolare Badolatese boicottata dai comunisti), ho promosso e, assieme ad altri amici, fondato la cosiddetta “Università dei Popoli” eleggendo come “Magnifico Rettore” lo storico badolatese prof. Antonio GESUALDO. In anni seguenti ho pensato una “Università della Salute” con una progettualità nuova rispetto alle usuali Facoltà di Medicina in quanto onnicomprensiva (salute armonica per esseri umani, animali, vegetali, inerti, ambiente, ecc. ecc.).

Chi come me lavora sempre alacremente e gratuitamente, con immensa gioia e grande passione, non si lascia intimidire o bloccare da alcuno e, per quanto possibile, cerca di realizzare i suoi sogni, le sue idee e le sue iniziative. Sempre, ovunque e comunque!

Con il tempo ho capìto che alcuni rappresentanti o responsabili del cosiddetto “Potere costituito” mi avversano per il semplice fatto che io agisco a spese mie …. mentre c’è chi (come affermano le cronache anche giudiziarie) si appropria di risorse pubbliche. In pratica, ad alcuni rode il fatto che io produca innumerevoli idee ed iniziative a favore del bene comune, mentre solitamente chi mi critica o addirittura si avventa contro di me e mi denigra, mi ostacola e tenta di rendermi la vita impossibile, non riesce ad avere idee o non riesce a produrre niente o quasi … nemmeno avendo in mano tanti soldi pubblici.

A Badolato come altrove, é accaduto più volte che proprio chi mi aveva criticato o avversato ha poi utilizzato e realizzato le mie idee! Con mia grande soddisfazione, “goduria” e “rivincita” morale! Oppure, a distanza di anni, pur tentando di realizzare le mie idee proposte in tempi d’avanguardia, taluni non sono riusciti a realizzare un bel niente, poiché per realizzare ci vuole tanta dedizione che non tutti hanno se non sono motivati come lo sono sempre stato io. Ma per Amore, solo per Amore (non per politica).

15-anni-di-banca-popolare-eticaRitengo altresì (e questo è accaduto pure in Agnone e in altri luoghi) che coloro i quali cercano di ostacolarmi o addirittura di farmi male non mi perdonano il fatto che riesco a fare tutto ciò non soltanto a mie spese ma con una gioia tale che risulta incomprensibile a chi non sa o non vuole donare qualcosa di se stesso alla comunità, ma dalla comunità solitamente è abituato soltanto a prendere o a pretendere.

Ma, caro Tito, con la prossima “Lettera su Badolato n. 37” vorrei descriverti altri convincimenti che ho maturato in almeno 50 anni di esperienza sociale e di intensa e caparbia azione per il bene comune. Intanto, ti presento tre “Letture parallele” per capire meglio cosa è (fin dalla nascita) la UNIVERSITA’ POPOLARE. Come prima Lettura inserisco il breve ma compendioso “Statuto” dell’Università Popolare di Venezia (datato 1998) evidentemente aggiornato su quello di fondazione del 1900. Come seconda la descrizione dell’Università Popolare in generale e come terza nascita e significato della Banca Etica.

LA BANCA ETICA

Caro Tito!

Come potrai leggere specialmente alla pagina 446 del quarto volume del “Libro-Monumento per i miei Genitori”, ho sempre pensato ai più poveri, agli umili e al dovere di ognuno di noi di lavorare per la “giustizia sociale” non soltanto nel nostro ambiente (il metro quadrato del nostro deserto) ma anche in tutto il nostro pianeta. Così, tra varie idee a riguardo (alcune delle quali si trovano evidenziate in altre pagine dei sette volumi del “Libro-Monumento”), nel 1997 ho pensato che ci voglia con urgenza nel mondo una BANCA UMANITARIA a favore dei cosiddetti “ultimi” … come i ricchi hanno il loro “Fondo Monetario Internazionale” e tante altre possibilità d’intervento finanziario.

Nello stesso anno 1997, mentre pensavo all’ipotesi della “Banca Umanitaria” ho letto su un giornale che un gruppo di persone di Padova aveva lanciato l’idea di realizzare in Italia una BANCA ETICA e invitavano tutti a farsi cofondatori di tale lodevole esperienza, contribuendo (con quote in denaro e con attività di proselitismo) a realizzare, secondo le leggi vigenti, una banca utile a importanti o necessari progetti sociali. Così, in Agnone e in Molise mi son dato da fare a procurare sempre nuovi soci fondatori, a scrivere articoli e a partecipare a trasmissioni televisive regionali incentrate su tale originale strumento di progresso etico-sociale.

Tra tanto altro, convinsi due giovani amici agnonesi (una ragazza neo-laureata in scienze bancarie e un ragazzo con esperienza di manager) a impegnarsi per realizzare proprio in Agnone una filiale di detta “Banca Etica”. In tale veste di “persone di buona volontà” tutti e tre partecipammo (a mie spese, è ancora il caso di dirlo?!) ad una riunione organizzativa e preparatoria per avere la Banca Etica pure nel Sud. L’incontro ebbe luogo a Salerno nella giornata di domenica 10 maggio 1998, ad appena tre giorni dalla disastrosa alluvione che nella vicina zona di Sarno e dintorni aveva fatto 160 morti e numerosi feriti.

Non avendo alcuna assicurazione e garanzia (almeno morale) dai promotori padovani della Banca Etica per un nostro impegno nel nostro territorio e non condividendo parte del loro discorso inerente il sud Italia, abbandonai la riunione assieme ai miei due amici, già alla ripresa dei lavori nel primo pomeriggio, dopo la pausa pranzo. E, comunque, resto “socio fondatore” nonostante ciò e nonostante tale BANCA ETICA (che ha preso ufficialmente il via nel 1999) abbia negato nel 2005 a me (che nel 1998 avevo già speso per la sua diffusione quasi due milioni di lire, tutti a perdere) un prestito per la stampa dei sette volumi del “Libro-Monumento per i miei Genitori” ovvero un lavoro che più “etico” non si può.

Tuttavia, da disincantato totale, ormai raccomando a te e a tutti sempre il beneficio di inventario e sempre la massima prudenza, ed inserisco , comunque, come terza lettura parallela il “Manifesto della Banca Etica” … essendo una “Banca Etica” fondata sul più diffuso azionariato popolare e con caratteristiche prettamente sociali … tanto che potrebbe essere assimilata, almeno idealmente, ad una Università Popolare, ad una Cooperativa, ad una Società o Banco di Mutuo Soccorso. L’aggettivo “etico” così come quello “cristiano” – “umanitario” ecc. ecc. non garantisce (in base all’esperienza, alla cronaca e ad alcuni dati di fatto) proprio nulla, dal momento che è la rettitudine delle singole persone che garantiscono la bontà di qualsiasi presenza od operazione interpersonale e sociale.

TRE LETTURE PARALLELE

(1) Statuto dell’UNIVERSITA’ POPOLARE DI VENEZIA

Art. 1 – E’ istituita a Venezia una Università Popolare, organizzazione non lucrativa di utilità sociale. Essa ha il compito di collaborare alla elevazione spirituale del popolo, promuovendo la diffusione della cultura nelle classi lavoratrici. L’associazione ha carattere apolitico, ispirandosi tuttavia alle idee di libertà, di democrazia e di giustizia sociale.

Art. 2- L’Università Popolare persegue i suoi fini attraverso lezioni isolate, corsi sistematici di lezione su particolari argomenti e per particolari categorie di iscritti, visite a monumenti e a musei, gite di istruzione, biblioteche circolanti ed ogni altra iniziativa promossa dai dirigenti o sollecitata dai soci, che armonizzi con il suo programma generale e si impegna a non svolgere attività diverse da quelle sopra menzionate.

Art. 3- Le conferenze, lezioni ecc. promosse dall’Università Popolare saranno di regola pubbliche e gratuite. Talune manifestazioni potranno essere limitate ai soli soci; l’iscrizione ai corsi speciali di lingue ecc. verrà disciplinata da speciali norme.

Art. 4- Dell’Università Popolare fanno parte soci ordinari, sostenitori e benemeriti. Le quote verranno fissate dal Consiglio Direttivo anno per anno. Potrà pure essere istituita una categoria di soci studenti.

Art. 5- Provvede all’andamento didattico ed amministrativo dell’Università Popolare un Consiglio Direttivo di numero di venti membri eletti ogni tre anni dall’assemblea dei soci.

Art. 6- Il Consiglio Direttivo nomina nel suo seno un Presidente, uno o più Vice Presidenti nonché un Segretario ed un Tesoriere; questi ultimi potranno non essere membri del Consiglio Direttivo. Il Presidente ha la rappresentanza legale dell’Associazione e le firme sociali, dirige e coordina di concerto con il Consiglio Direttivo, l’attività culturale dell’Università Popolare.

Art. 7- Al termine di ogni anno viene redatto il Bilancio annuale.

Art. 8- L’assemblea dei Soci deve essere convocata almeno una volta all’anno per ascoltare e discutere la Relazione morale del Presidente e per l’approvazione del Bilancio, con divieto di distribuire eventuali avanzi di gestione, da utilizzare soltanto per la realizzazione della attività istituzionali. L’Assemblea dovrà essere convocata ogniqualvolta un decimo dei soci ne faccia richiesta al Consiglio Direttivo. La Convocazione ha luogo con pubblico manifesto affisso almeno otto giorni prima.

Art. 9- L’Assemblea dei soci nomina ogni tre anni, insieme al Consiglio Direttivo, due revisori dei conti i quali, in caso di mancato accordo, potranno nominare un terzo membro. Essi riferiranno all’assemblea in sede di approvazione del Bilancio.

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Art. 10- Il Consiglio Direttivo è convocato dal Presidente all’inizio di ogni anno didattico per deliberare in linea di massima sul programma da svolgere la cui attuazione sarà compito del Presidente coadiuvato dal Vice Presidente e Segretario. Sarà pure convocato ogniqualvolta numero cinque membri lo richiedano.

Art. 11- Il Consiglio Direttivo ha facoltà di aggregarsi con voto consultivo persone idenee in rappresentanza di Enti, Associazioni, Istituti o Categorie la cui opera possa essere utile per il migliore raggiungimento dei fini dell’Università Popolare.

Art. 12- In caso di dimissioni o decesso di un membro del Consiglio Direttivo, questo potrà chiamare a sostituirlo altro socio, salvo ratifica da parte dell’assemblea dei soci nella prima seduta successiva.

Art. 13- Potranno essere costituite, ad iniziativa del Presidente o del Consiglio Direttivo, sezioni staccate dell’Università Popolare, nell’ambito del Comune. Ognuna di esse sarà diretta da un Consiglio Direttivo secondo quanto sarà stabilito dai soci della sezione stessa, il Presidente sarà di diritto uno dei Vice Presidenti dell’Università Popolare Veneziana e farà parte del Consiglio Direttivo di questa. L’attività delle sezioni sarà svolta di concerto con il Presidente dell’Università Popolare, i rapporti economici tra questa e le varie sezioni saranno regolati di volta in volta secondo opportunità, salvo ratifica da parte del Consiglio Direttivo.

Art. 14-L’attività dell’Università Popolare, e cosi il suo Bilancio, si svolgerà per un anno didattico con la decorrenza dal 1 gennaio al 31 dicembre.

Art. 15- Possono iscriversi all’Università Popolare tutti coloro che abbiano raggiunto il 14° anno di età, purché diano sicuro affidamento di moralità pubblica e privata. La domanda sarà presentata su apposito modulo contenente la accettazione del presente Statuto. L’accettazione della domanda a socio è demandata al Presidente. Si può comunque recedere dall’iscrizione all’Associazione in qualsiasi momento, con segnalazione verbale o scritta, indirizzata al Presidente.

Art. 16- In caso di controversia circa una domanda di iscrizione o di riassociazione, deciderà sulle controversie stesse inappellabilmente il Consiglio Direttivo.

Art. 17- L’Università Popolare di Venezia ha iniziato la sua attività culturale e didattica fin dall’anno 1900.

Venezia, 23 marzo 1998.

Il presidente Prof.ssa Elena Bassi

(2) Cosa è una “Università popolare”

L’Università popolare è un’istituzione generalmente privata che giuridicamente si propone come associazione di promozione sociale o di volontariato.

CENNI STORICI – Le università popolari sono istituti che si diffusero a partire dall’800 in tutta l’Europa. I principi ispiratori di tali enti, in tutto il continente, furono quelli di fare avvicinare alla cultura tutti i ceti sociali, specialmente quelli più emarginati (donde appunto il termine popolare che spesso figura nelle denominazioni di tali enti). In questa azione sociale soprattutto membri del movimento socialista e i sindacalisti, ma in seguito questi principi furono affermati da tutti gli spiriti democratici e liberali. Sul movimento delle Università popolari esiste una vasta letteratura dalle origini del fenomeno fino ai giorni nostri.

Italia – Le Università popolari nacquero in Italia tra il 1900 e 1901 ad opera del Partito Socialista Italiano e dei sindacati seguendo gli esempi già attivi nel XIX secolo in Danimarca e Svezia, e sul finire dello stesso secolo in Inghilterra. La diffusione fu rapida in Italia come lo fu contemporaneamente in tutta Europa. Nacquero nelle maggiori città, nelle città di provincia, ma anche in piccoli comuni di tutta Italia. Alla base di quel movimento vi era l’idea di diffondere l’istruzione tra il popolo per mezzo di conferenze, dibattiti, distribuzione di opuscoli e libri. Fondamentale fu in tal senso l’apporto della rivista quindicinale L’Università Popolare fondata da Luigi Molinari (1866-1918) a Mantova nel 1901 e trasferita a Milano dove diresse fino al 1918 con le Pubblicazioni periodiche Università Popolare Milanese.

Altrettanto fondamentale fu l’apporto fornito dal linguista e indologo Francesco Lorenzo Pullè (1850-1934), che organizzò a Milano nel 1906 il I Congresso internazionale delle Opere di educazione popolare, a cui partecipò un buon numero delle circa 70 università popolari allora operanti in Italia. Nel 1908 Pullè partecipò a Parigi al II Congresso internazionale e costituì, insieme alla consorelle europee, la Confederazione Internazionale delle Università Popolari, di cui gli fu affidata la presidenza per i meriti nel frattempo acquisiti. Le vecchie università popolari ripresero vita nel dopoguerra dopo la caduta del fascismo che le aveva chiuse o inglobate. In seguito sorsero e si svilupparono altre istituzioni culturali che assunsero denominazioni differenti, come ad esempio l’Unitre – Università della Terza Età.

Riconoscimento giuridico – Le Università popolari, in Italia, sono generalmente associazioni private, che possono (eventualmente) interagire con le Università di Stato per il rilascio di crediti formativi (CFU). Bisogna comunque sottolineare che soltanto le Università statali (o legalmente riconosciute) possono rilasciare titoli accademici. Chi è esterno a queste strutture, come le Università Popolari, può stipulare convenzioni affinché gli attestati di corsi ‘esterni’ al percorso accademico ufficiale possano valere quale Credito Formativo Universitario, e ciò dipenderà dal deliberato del relativo Consiglio di Corso di Laurea. È inoltre possibile collaborare con un Ateneo stipulando una convenzione mirata alla realizzazione di Master Universitari, o di percorsi di Alta Formazione; sarà comunque sempre un regolare Bando Rettorale a conferire valore legale al titolo. Da ciò deriva necessariamente che un corso di studi (anche se di alta qualità) non può essere definito master (né tantomeno così pubblicizzato) se non è bandito da un Rettorato universitario. Senza dubbio nel panorama italiano un ruolo fondamentele è svolto dalla CNUPI (Confederazione Nazionale delle Università Popolari Italiane) fondata nel 1982, e riconosciuta ente di personalità giuridica privata dal Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica[5], con un apposito decreto del 21 maggio 1991, e l’UNIEDA (Unione Italiana di Educazione degli Adulti) con sede a Roma, che fanno entrambe parte dell’EAEA – European Association for the Education of Adults. In particolare l’Unieda, fondata nel 1998 come FIPEC, rientra tra le associazioni nazionali di promozione sociale, ai sensi della legge 7 dicembre 2000 n. 383 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale).

Diverse università popolari dal 1984 sono qualificate come Istituti di Cultura Generale riconosciuti dal Ministero dei Beni Culturali.

Alcune di esse hanno poi avuto particolari riconoscimenti, ad esempio il 2 giugno 1977 il Presidente della Repubblica conferì all’Università popolare di Trieste il Diploma di 1ª classe con Medaglia d’oro ai Benemeriti della scuola della cultura e dell’arte ,e il 15 dicembre 1992 all’Università popolare di Biella

Attività – Nelle Università popolari è possibile studiare un’ampia gamma di materie, dal latino alla psicologia, dall’inglese al disegno. Esse sono rivolte prevalentemente alla popolazione adulta. In Italia la più grande università popolare è l’Università Popolare di Roma (Upter): nata nel 1987 ha raggiunto i 30.000 iscritti nel 2006. Oltre ai corsi, organizza viaggi, visite culturali, concerti e altre attività culturali e sportive che promuovono socialità e formazione. In Lombardia è stata istituita anche l’Università Popolare di Milano; in Veneto si trova invece l’Università Popolare di Mestre.

Validità degli attestati rilasciati – Le Università Popolari, a differenza delle Università di Stato (o di quelle dallo Stato legalmente riconosciute) non possono rilasciare titoli accademici, né tantomeno i loro attestati hanno un intrinseco valore legale, come confermato dallo stesso C.N.U.P.I.(Confederazioni Nazionale Università Popolari Italiane) nel proprio sito web ufficiale[2][8]. Nel sistema giuridico italiano, infatti, soltanto le Università statali (o legalmente riconosciute) possono rilasciare titoli accademici

Diverse università popolari sono accreditate, come enti di formazione, presso la Regione di appartenenza o presso il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica. In tal caso, sono abilitate a organizzare e gestire specifici corsi valutati anche come Credito formativo universitario (CFU) ovvero corsi con il rilascio di un Attestato finale valutabile nei casi previsti dalla legge. Stop.

(3) il Manifesto della Banca Etica

Il Manifesto di Banca Etica è un documento articolato e frutto di un lavoro collettivo dei nostri soci. Il Manifesto definisce il perimetro della nostra azione, lo spirito e la visione che animano il nostro modo di fare banca: trasparente, partecipato, rivolto al bene comune. Diffonderlo è importante, perché rappresenta il nostro impegno comune nei confronti della società in cui viviamo e delle generazioni che verranno.

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L’interesse più alto è quello di tutti. Questo principio ha ispirato noi – donne, uomini, organizzazioni e movimenti – che abbiamo dato vita nel 1999 a Banca Etica. Siamo una banca popolare, con un azionariato diffuso e attivo, e cooperativa, come valore e come scelta organizzativa, che fa proprio il concetto di cittadinanza attiva e responsabile.

In questi anni ci siamo impegnati per diventare riferimento per quelle esperienze di impresa sociale e di economia che contribuiscono alla promozione del bene comune e di una società

più equa, solidale e sostenibile; ci siamo inoltre proposti come strumento di trasformazione e di promozione sociale.

Attraverso le attività culturali e l’azione dei soci, realizzate in rete con altri attori dei territori, abbiamo cercato di consolidare una nuova cultura economica, finanziaria e sociale. Anche grazie al nostro contributo il ruolo dei cittadini si è rafforzato e si è reso sempre più consapevole dell’importanza delle scelte quotidiane di consumatore e di risparmiatore.

Siamo nati come banca alternativa, per essere “altro” rispetto alla prassi corrente del “fare banca” e per cercare di cambiare le regole del mercato, attraverso:

• la trasparenza;

• la responsabilità sociale e ambientale come criterio per la gestione della raccolta e degli impieghi;

• la governance diffusa mediante la specifica organizzazione territoriale dei soci;

• il processo di Responsabilità Sociale di Impresa.

Facciamo nostri i principi contenuti nel Manifesto della Finanza Etica.

Siamo anche un gruppo bancario che, attraverso Etica Sgr, società di gestione del risparmio, porta i valori della Finanza Etica nei mercati finanziari, sensibilizzando le persone e gli operatori finanziari nei confronti degli investimenti socialmente responsabili.

Il nostro percorso nel 2005 si è incrociato con quello intrapreso nello Stato spagnolo da Fiare. Questo incontro apre per noi una dimensione internazionale, che implica cooperare

con persone, organizzazioni e movimenti, consapevoli che oggi le grandi sfide si affrontano solo in una logica di interdipendenza, solidarietà, giustizia e cura della Terra.

LA VISIONE DELLA SOCIETÀ

Il pensiero sociale di riferimento

Il modello di società che coltiviamo è fondato principalmente sulla giustizia e sulla fraternità, valori che favoriscono una produzione e distribuzione della ricchezza che tenga conto dei bisogni sia dei singoli che della comunità.

Da ciò scaturisce un pensiero sociale fondato su:

• il primato della persona sul mercato;

• pari dignità e opportunità a tutte le persone, affinché siano artefici del proprio progetto di vita;

• l’equità e la sobrietà nella produzione e distribuzione della ricchezza e nell’utilizzo delle risorse;

• l’ascolto e il sostegno delle comunità che si organizzano per dare risposte ai bisogni individuali e collettivi;

• i principi di reciprocità, interdipendenza, corresponsabilità con attenzione alle nuove povertà e marginalità;

• la cultura della legalità per una nuova convivenza civile;

• rispetto e valorizzazione di tutte le diversità ponendo attenzione all’approccio di genere nell’affrontare problemi politici, sociali, economici e culturali.

L’assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori sociali

Il pensiero sociale che emerge da questa visione si fonda sull’assunzione di responsabilità degli attori sociali accomunati dalla ricerca di risposte ai bisogni delle persone e della comunità.

Istituzioni pubbliche, imprese e organizzazioni sociali devono agire in accordo per sostenere l’autorganizzazione e il legame sociale delle comunità locali.

Promuoviamo pertanto:

• il volontariato come azione diretta e gratuita dei cittadini;

• i processi di partecipazione dal basso e di co-progettazione;

• forme di welfare locale che favoriscano lo sviluppo della comunità territoriale e al tempo stesso il rafforzamento delle risorse della persona.

Questo non significa esonerare lo Stato e le istituzioni pubbliche dal partecipare a questo processo di crescita civile, bensì ne rafforza il ruolo di garanti dei diritti di cittadinanza, anche attraverso la definizione degli standard quantitativi e qualitativi dei servizi. Vanno pertanto recuperati, in collaborazione con gli altri attori del territorio, i valori che sono alla base dello stato sociale, per garantire gli elementi ritenuti fondamentali per la realizzazione integrale della persona.

Generare capitale sociale

Ci impegniamo a “rendere mobile” la ricchezza, non solo monetaria e materiale, ma composta anche di saperi, competenze, diversità, valori, un capitale che è quindi allo stesso tempo umano, sociale, materiale, immateriale, economico e finanziario. Ciò significa che possiamo diventare sempre più luogo di incontro e di relazione tra le diverse realtà locali e favorire la valorizzazione delle ricchezze presenti nelle comunità territoriali.

Un modello sostenibile

Lo sviluppo si configura come crescita umana e sociale nel rispetto dell’ambiente e delle risorse naturali. A questo criterio devono rispondere anche le attività economiche e finanziarie.

Pensiamo pertanto a un modello di sostenibilità strettamente collegato:

• alla qualità della vita della persona e della comunità;

• al rispetto degli equilibri ecologici, alla conservazione della biodiversità;

• all’impegno per una sobrietà nei consumi e per una riduzione degli sprechi e dei rifiuti;

• agli investimenti nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili;

• alla sovranità alimentare;

• alla garanzia di futuro per le generazioni che verranno.

L’ambiente, ossia lo scenario e il contesto in cui vive, opera e si sviluppa ogni comunità, comprende e integra sia la dimensione umana sia quella naturale. Ne segue una necessaria interdipendenza tra economia ed ecologia che porta a sviluppare le attività produttive che siano ecologicamente sostenibili, o meglio che conservino integro il capitale naturale non intaccando la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi. Dobbiamo superare la dicotomia tra la produzione economica e la conservazione della natura, armonizzando gli obiettivi economici con la tutela di questo patrimonio.

LA VISIONE DELL’ECONOMIA E DELLA FINANZA

Il ruolo di intermediario creditizio come strumento di cambiamento e di partecipazione. Dalla nostra visione della società deriva anche un pensiero economico che finalizza le attività economiche al servizio dei bisogni delle persone e delle comunità.

È nostro impegno, attraverso l’attività creditizia, concorrere alla rimozione degli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini

e impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Intendiamo svolgere il nostro ruolo di intermediario creditizio:

• dando credito a chi opera per il bene comune;

• diventando strumento di contaminazione positiva del mercato e degli attori della finanza;

• innescando processi culturali e di cittadinanza attiva.

La banca diventa così uno strumento di democrazia economica, in quanto permette:

• ai cittadini, nelle vesti di risparmiatore, consumatore, lavoratore, imprenditore, socio, di esercitare il loro potere di scelta responsabile;

• ai soci di partecipare ai processi decisionali, attraverso il sistema di governance diffusa.

Ci impegniamo inoltre a promuovere un uso consapevole del denaro, sostenendo percorsi di educazione finanziaria e di Finanza Etica.

Come banca affermiamo il primato del lavoro sulla rendita da capitale nella produzione del reddito. Consideriamo il lavoro una componente essenziale della vita e uno strumento di autorealizzazione al punto che la creazione di lavoro rappresenta uno dei criteri in base ai quali valutiamo il merito creditizio. Riconosciamo l’importanza di generare utile di bilancio, finalizzato alla realizzazione della nostra missione, inteso come obiettivo aziendale, indicatore di una sana ed efficace gestione economica e garanzia di indipendenza.

Riteniamo necessario che la nostra governance sia garante di una continua interazione tra tutti i portatori di interesse, alla luce di regole, spazi di confronto e obiettivi condivisi. Questo trova riscontro nella originalità del modello organizzativo della Banca che integra l’azione dei Gruppi di Iniziativa Territoriale dei soci (G.I.T.) con la rete operativa.

La nonviolenza anche in campo economico e finanziario

Il denaro, come strumento di potere, può essere fonte di conflitti, sopraffazioni e violenze. Attribuendo invece al denaro la funzione di strumento per una integrale promozione umana, miriamo a ridurre o eliminare questi possibili elementi di conflittualità, anche attraverso la costruzione e il rafforzamento di reti economiche, sociali e di partecipazione per un suo uso collettivo (vedi come esempio le Casse di Mutuo Soccorso).

Noi ci riconosciamo nella scelta della nonviolenza anche in campo economico e finanziario.

Il risparmio da bene individuale a bene comune

Consideriamo il risparmio come un bene individuale che può contribuire al bene comune.

Il risparmio ha una doppia valenza:

• personale, in quanto, accantonando risorse, la persona si garantisce la risposta a bisogni o progetti futuri;

• sociale, diventando così bene comune, in quanto questa ricchezza pur restando individuale, attraverso l’intermediazione finanziaria, può essere rimessa in circolo come credito per persone e organizzazioni che ne hanno bisogno.

Per questo ci poniamo l’obiettivo di fornire opportunità di investimento non speculativo del risparmio, finalizzate alla tutela del potere d’acquisto e al finanziamento di quelle realtà che

operano per il bene comune, stimolando, anche attraverso l’azionariato attivo e critico, comportamenti responsabili.

L’accesso al credito come diritto della persona

Partendo dal presupposto che la fiducia è alla base delle buone relazioni tra le persone e che senza fiducia non può esserci credito, consideriamo l’accesso al credito uno dei diritti della persona, ma lo associamo al tempo stesso ai principi di responsabilità, prudenza e correttezza. L’accesso al credito è un diritto che la persona può esercitare per costruire e sviluppare il proprio progetto di vita: un diritto che garantisce e rende possibile altri diritti. A fronte del diritto al credito il debitore ha il dovere dell’uso corretto delle risorse finanziarie affidategli e della loro restituzione.

Le distorsioni dell’attuale sistema finanziario e le possibili azioni

L’attività finanziaria ha l’obiettivo di trasferire la ricchezza da chi risparmia a chi ne ha bisogno. Negli ultimi decenni la finanza spesso ha perso di vista il suo scopo originario, trasformandosi da mezzo a servizio dell’economia e della società, in un fine a sé, per fare “soldi dai soldi”.

Crediamo sia possibile e necessario reindirizzare la finanza verso il perseguimento del benessere collettivo, ritenendo l’economia e la finanza a servizio della società e non viceversa. In questo contesto sosteniamo tutte quelle azioni culturali, politiche e di mobilitazione pubblica, che propongono interventi correttivi alle distorsioni del sistema finanziario. Pertanto, in un elenco non esaustivo, vogliamo dare rilevanza alle azioni che possono:

• contrastare la finanza speculativa anche attraverso la tassazione sulle transazioni finanziarie per ridare risorse a welfare, ambiente e cooperazione;

• migliorare la trasparenza in ogni ambito finanziario a partire dall’eliminazione dei paradisi fiscali;

• attuare la separazione tra le banche commerciali al servizio dell’economia reale e le attività meramente speculative;

• introdurre una normativa specifica per la Finanza Etica.

A sostegno di una nuova economia per il bene comune e i beni comuni

Da questi principi discende il nostro impegno a orientare le attività di intermediazione finanziaria verso l’economia reale, dando credito a esperienze che, producendo beni relazionali, culturali, naturali e ambientali, si preoccupano delle conseguenze non economiche delle attività economiche.

Contrastiamo l’esclusione sociale e l’aumento delle diseguaglianze economiche, attraverso l’offerta di specifici prodotti bancari e attività socio-culturali e di educazione economico-finanziaria. La visione di economia che auspichiamo, “la nuova economia”, si basa su un modello di sviluppo in cui i tre pilastri che caratterizzano la sostenibilità di una società – lo sviluppo economico, la coesione sociale, la tutela ambientale – sono pensati in modo fortemente integrato.

Le cinque dimensioni della nuova economia

Le realtà di nuova economia rispondono a cinque elementi interdipendenti:

• LA DIMENSIONE COMUNITARIA

Pensiamo a imprese e organizzazioni che valorizzano le risorse delle persone e dei territori in un’ottica di democrazia economica;

• LA RELAZIONE

La qualità delle relazioni, la possibilità di muoversi in un terreno di valori condivisi e di rapporti fiduciari stabili, favoriscono la possibilità di scambi vantaggiosi tra gli attori in gioco, di ridurre le conflittualità sociali e pertanto di aumentare i comportamenti mutualistici e cooperativi;

• LA RECICOCITA’

Pensiamo ad attori economici e sociali meno interessati a competere e più orientati a cooperare nel perseguimento del bene comune, dove acquisiscono valore le relazioni e gli scambi di beni e servizi non fondati esclusivamente sullo scambio di equivalenti;

• LA LEGALITA’

È requisito fondamentale per promuovere il pieno sviluppo della persona umana e della comunità e la costruzione del bene comune. Imprese e organizzazioni devono sentirsi soggetti attivi e protagonisti nel creare la cultura della legalità sia nelle dinamiche decisionali al proprio interno, sia nelle relazioni con istituzioni, cittadini, fornitori, istituti di credito. Senza legalità non può esserci sostenibilità del territorio;

• L’EVOLUZIONE SOCIALE E AMBIENTALE

Pensiamo a imprese e organizzazioni con una propensione profonda e collettiva ad andare “oltre”, in un’ottica di visione globale e di scenario futuro da costruire insieme, coniugando la dimensione sociale e ambientale:

– sociale, legata ai nuovi bisogni delle persone e delle comunità, per i quali vanno cercate nuove risposte tese a generare un effetto migliorativo della qualità di vita individuale e collettiva;

– ambientale, legata al rispetto, all’uso e alla valorizzazione dell’ambiente e delle risorse a disposizione, dimensioni per le quali vanno sostenute e promosse attività economiche operanti nel riuso dei prodotti usciti dal ciclo produttivo, nel riciclo dei materiali di scarto, nella produzione di energia da fonti rinnovabili, nella valorizzazione delle specificità naturali e culturali dei territori, in una logica di lungo periodo.

Questo è l’impegno che noi – uomini, donne, organizzazioni e movimenti – ci prendiamo nei confronti della società in cui viviamo e delle generazioni che verranno. – Stop.

Caro Tito,

come ti ho descritto in altre “Lettere su Badolato” ma anche con tre “Lettere a Tito” (n. 8 del 19 novembre 2012, n. 9 del 26 novembre 2012 e n. 10 del 03 dicembre 2012), il boicottaggio comunista della “Riviera degli Angeli” (1972-73) ha avuto poi conferma con il boicottaggio (sempre comunista) dell’Università Popolare badolatese dell’8 dicembre 1975. Ti dicevo che il “fallimento” o, meglio, la mancata realizzazione di entrambe queste iniziative sociali di vasto respiro è dovuta principalmente ai seguenti 4 principali fattori.

Prima causa, il fatto che io ero molto impegnato negli studi universitari e, in particolare, nelle ricerche e nella redazione della tesi di laurea e, quindi, potevo dedicare pochissimo tempo a mandare avanti l’iniziativa promossa. Seconda causa, personalmente non avevo sufficienti soldi (essendo studente di umile famiglia, senza un reddito proprio) per poter sostenere una difficile lotta al fine di far prevalere (nonostante il boicottaggio subìto) il Consorzio Riviera degli Angeli così come l’Università Popolare. Terza causa, per quanto riguarda l’Università Popolare eravamo già nel dicembre 1975 ed io dovevo partire ad espletare la leva militare da lì a due mesi (10 febbraio 1976). Quarta causa ritengo (pure a distanza di oltre 40 anni da quelle due esperienze) che tutti coloro i quali avevano aderito alla Riviera degli Angeli prima (1972) e all’Università Popolare dopo (1975) non desideravano mettersi contro il potente (e vendicativo) Partito comunista badolatese che ha dimostrato di avversare entrambe le iniziative facendo “terra bruciata”.

Storicamente e sociologicamente (ma anche antropologicamente e persino come psicanalisi sociale) sarebbe interessante ragionare sulle motivazioni che spingevano i comunisti badolatesi a boicottare iniziative (non soltanto mie) obiettivamente utili per l’interzona, senza peraltro fare nulla di alternativo, ma soltanto “bruciando” e distruggendo senza costruire un sempre migliore tessuto sociale (invece di lacerarlo continuamente).

Non è questa la sede per approfondire tale impegnativo discorso (spero che qualcuno lo faccia prima o poi), però qui mi sembra significativo che sia bastato almeno accennarne, dal momento che, ribadisco, il fine di queste “Lettere su Badolato” è soltanto quello di dimostrare quale e quanto amore abbia nutrito (in parole ed opere) verso il mio paese natìo, dalla nascita fino al 2012 quando c’è stata la caduta improvvisa e verticale di ogni sentimento non soltanto nei confronti di Badolato ma anche della Calabria, sentendomi così guarito (finalmente!) dalla “badolatìte acuta” e dalla “calabresìte acuta” che mi hanno inchiodato (molto amorevolmente) a queste terre e a queste genti per quasi un’intera esistenza (forse o probabilmente, comunque, molto più del dovuto).

Riguardo il boicottaggio dell’Università Popolare da parte dei comunisti badolatesi (alla presenza di tutte le categorie sociali locali ma anche dell’interzona) ti dirò di alcune altre attinenti riflessioni nella imminente “Lettera su Badolato n. 37”.

Intanto, grazie Tito, e a presto!

Domenico Lanciano Azzurro Infinito, giovedì 28 settembre 2017 ore 06,53

Le immagini sono tratte dal web.

 

 

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