riace01g Nella stessa Calabria di Rosarno la solidarietà riporta un paese alla vita . Riace è quell’imprevisto che ti costringe a rimettere in discussione delle certezze. Del resto è successo a un famoso e illustre maestro della macchina da presa, Wim Wenders, che era venuto da queste parti per raccontare un’esperienza di solidarietà con gli immigrati, a Badolato. Un film con Ben Gazzara nella parte di un sindaco. Poi è accaduto che una comparsa, un attore, un ragazzino afghano, sulla spiaggia di Scilla, partecipando alla scena di uno dei tanti sbarchi di clandestini, si è rivolto al regista: «E’ molto bello quello che stai facendo. Ma io sono venuto qui per te. Se sei una persona seria, devi venire a Riace, al mio paese». Racconta il regista: «Il Volo non poteva essere solo un film di fiction, con attori – grandi e piccoli – a prendersi tutta la scena. Era necessario che la fiction indietreggiasse per far posto alla realtà. Come posso fare un film sui rifugiati senza coinvolgerli in prima persona?». Ecco, come possiamo continuare a parlare di clandestini, rifugiati, politiche di accoglienza o inviti all’esclusione senza sentirli respirare, senza ascoltare le loro emozioni, i sogni, i problemi della loro vita quotidiana di emigranti? Questi sono giorni di blitz contro i caporali sfruttatori di immigrati e gli squadroni della ’ndrangheta di Rosarno. E Riace, a un centinaio di chilometri a Nord di Reggio, sulla costa ionica, è un bel respiro profondo e una presa di distanza da tutto questo senso di morte. Qui si sperimenta una solidarietà concreta con il contributo del ministero dell’Interno. Riace sta in quella rete di enti locali (duecento) che fanno parte del «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati» (Sprar), di quel programma di reinsediamento dei rifugiati. In tempi di leggi «ad escludendum», di rancori e dispetti contro gli stranieri extracomunitari, questa è una esperienza da preservare gelosamente. Riace è una comunità – «di 200 nuovi cittadini» dice il sindaco Mimmo Lucano – di 110 palestinesi del campo profughi di Al Tanaf, tra l’Iraq e la Siria, terra di nessuno. E poi di curdi, afghani, eritrei, serbi rom che sta ripopolando un paese arroccato nell’entroterra e destinato a un lento e inesorabile abbandono. Mimmo il sindaco è un entusiasta. Sembra un ragazzino felice di poter raccontare la sua avventura. Parla di loro, della comunità di stranieri accolta qui, del fatto che grazie a loro Riace è tornata a crescere e adesso sfiora le duemila anime («ma a Santena, Torino, ci sono più riacesi che a Riace»). Parla di loro come di una grazia ricevuta. Attenzione, Mimmo avverte molto una «crisi identitaria» delle comunità «agropastorali» della fascia ionica. Denuncia le speculazioni degli Anni 80 e 90 lungo il litorale, quando appunto le comunità locali pensavano di traslocare sul mare, di sviluppare una vocazione turistica e residenziale, avendo a modello le varie Rimini e Riccione. E dunque per lui l’ospitalità agli stranieri non è solo un fatto di civiltà, ma è una necessità per poter far vivere la sua Riace. Comunque, per farla breve, il nuovo inizio di Riace, Badolato, Caulonia ha una data precisa. No, non il 18 agosto del 1972 quando furono ritrovati in mare i famosi Bronzi di Riace. No, ma il primo luglio del ’98, quando si spiaggiò una nave con 300 curdi iracheni e turchi. Si comincia a praticare una solidarietà militante. «Erano gli anni di Ocalan – ricorda il sindaco – e molti curdi sbarcati sulle nostre coste erano militanti del Pkk. Divento sindaco di Riace nel 2004. Con loro, con i rifugiati, inizia una nuova primavera del paese: riaprono vecchie botteghe, si mette in moto un turismo solidale, le scuole si ripopolano». Squilla il telefono del Comune di Riace. E’ una studentessa che chiama dalla Germania, per la sua tesi di laurea, vuole venire a Riace e chiede un appuntamento al sindaco. Dunque, il Programma nazionale di aiuto ai richiedenti asilo prevede una quota di 16 euro (adesso 20) pro capite al giorno (commenta il sindaco: «A noi 20 euro, per i Cie 80, 100 euro»). Lucano non si scoraggia: vitto, alloggio, scolarizzazione, spese mediche. Il Comune non dichiara bancarotta. «Vuole conoscere i risultati: questa economia dell’accoglienza produce lavoro, attività, progetti. Oggi 43 rifugiati lavorano nei laboratori, nelle scuole, alla mensa». Il centro antico di Riace. La scuola, l’asilo: 30 bambini, 12 stranieri. Akim e Sonia, afghani, senza genitori. C’è la bimba serba ed eritrea. Il ristorante «Taverna Donna Rosa». Venti giorni prima delle elezioni del 2009 (la giunta del sindaco riconfermata). La vetrata della porta d’ingresso: due fori di proiettili. Due cani randagi adottati dal figlio del sindaco vengono ritrovati avvelenati. Morti. E Riace come reagisce? Murales sul muro del ristorante: «Cuntru a ’ndrangheta ndì tingimu i mani». Contro la ’ndrangheta ci sporchiamo le mani. Quel vetro è un’opera d’arte: impronte colorate di mani. Dal portone dell’Associazione Città Futura (dove si svolgono corsi per imparare l’italiano) esce un omone. E’ senza una gamba. E’ un uomo afghano, con un paio di buste per la spesa piene, che porta senza rinunciare a imbracciare le stampelle. «Ero al Centro di Gradisca – dice – sono qui da due mesi con i miei sei figli». Nisia la serba arriva da Bolzano. C’è una ragazza con il velo. Al telaio del laboratorio di tessitura c’è Mona, palestinese. Una donna etiope a quello di ceramica. C’è Shuri che ha 23 anni. In un basso di una stradina, una madonna nera, con un vestito colorato. E’ seduta sul gradino di una casa, ha un cellulare in mano. Nella penombra una vecchia di Riace ha in braccio il bambino della ragazza. Una scena bellissima.

Fonte: http://www.lastampa.it – Guido Ruotolo

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