cartinaL’Università delle Generazioni è lieta di offrire la lettura di “Divagazioni invernali” una brevissima e gradevole novella dello scrittore andreolese Salvatore Mongiardo, residente a Soverato di Calabria, incentrata su luoghi e personaggi della montagna delle Pre-Serre Joniche tra Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, Isca e Badolato. Buona lettura!

 Divagazioni invernali di Salvatore MONGIARDO

 L’inverno resiste, assediato dalle giornate che si allungano, in questa metà di gennaio che invita verso la montagna traboccante di verde. E’ l’occasione per fare una gita con Mario e Vanessa fino alle Scalette di Focalìa nella montagna di Sant’Andrea, dove il Sordo teneva le sue capre in un ricovero fatto di pietre e frasche. Alcuni muri a secco resistono all’abbandono dei decenni e, mentre li visitiamo, mi torna in mente la filastrocca che mia madre recitava:

Ara Scala e Cola Colìa

Era nu vìacchju chi lejìa

E tenìa nto panaru

Pinna, astucciu e calamaru.

Mi chiedevo: invece di Cola Colìa la dizione originaria non era per caso Filocalìa, il manuale di massime che hanno i monaci greci? Si poteva trattare di un eremita che viveva tra quelle pietre, prima che il Sordo le occupasse con le sue capre. Così si capiva meglio la filastrocca che recita di qualcuno che aveva penna e inchiostro, tenute in un paniere, e forse se ne serviva per scrivere qualche biglietto per il popolo analfabeta.

Le nostre montagne nel passato erano abitate da eremiti che abbandonavano il mondo per vivere in solitudine. C’è ancora la Valle dell’Eremita nel versante di Isca sullo Jonio, dove fino a poco tempo fa c’era un’icona probabilmente costruita da quell’eremita.

Quei posti erano stati impregnati della presenza dei monaci e perciò forse vi avvenivano fatti straordinari. Alle Scalette di Focalìa il vecchio taglialegna Colino – parliamo della fine del 1800 – una sera vide un neonato abbandonato e s’indignò: Madre senza coscienza, abbandonare un bimbo! Lo prese in braccio e si affrettò verso casa. Mentre andava, il bimbo diventò pesante e cambiò forma fino a mostrarsi con corna e piede di capra: era il demonio che voleva impossessarsi di Colino. Questi invocò la Madonna e lo buttò nel dirupo mentre il demonio lanciava fuoco e fiamme. Questa storia, nota a tutti gli andreolesi, mi fu più volte confermata dal figlio di Colino, Nicola Mannello.

Anche nella Valle dell’Eremita avveniva un fatto straordinario: l’apparizione del vitello d’oro! Me la raccontava Andrea Frustaci detto il Bosco, vocabolo che viene dal greco e significa pastore. Non bisognava profferire parola, però, né parlarne in giro, altrimenti il vitello scompariva. Avvenne così che un boscaiolo lo vide e ammonì i figli di non farne parola con nessuno. In seguito apparve al figlio minore che si mire a chiamare i fratelli ad alta voce perché accorressero a vederlo. Il vitello allora scomparve per sempre. Essi si misero a piangere, cantilenando come si faceva durante un lutto, con queste parole:

Tesoro, mio tesoro,

vitello d’oro!

Ci inoltrammo poi in macchina verso la montagna di Badolato, frastagliata di neve che copriva il terreno tra i faggi e gli abeti. Sembrava un mondo nordico, e invece eravamo in mezzo al Mediterraneo. Il libeccio e lo scirocco avevano portato nuvole africane, cariche di umidità, che le correnti balcaniche avevano raggelato in neve caduta nelle nostre Serre. Le nuvole africane avevano sperato di poter vagare liberamente tra i cieli, ma erano finite tra alberi di cui ignoravano perfino l’esistenza, loro che si erano formate sui deserti di sabbia. Non dovevano comunque avere paura! La neve si sarebbe sciolta presto e sarebbe tornata al mare, perché ogni acqua dal mare nasce e al mare torna.

Anzi, quelle nuvole erano fortunate perché lo Jonio, che si stendeva nello splendore meridiano, era ampio per accogliere nella sua distesa azzurra quelle gocce venute da lontano.

 Salvatore Mongiardo – 16 gennaio 2018

 

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