telecamera-nascostaPer la Cassazionene nell’interferenza illecita nella vita privata rileva la violazione dell’intimità del domicilio e non la mera assenza del consenso di chi viene ripreso mirino della fotocamera

Non integra il reato di interferenza illecita nella vita privata, la condotta di chi a casa propria filma il rapporto sessuale con la persona con cui intrattiene una relazione: ciò in quanto l’art. 615-bis c.p. ricollega il disvalore, di rilievo penale, della registrazione alla violazione dell’intimità del domicilio e non alla mera assenza del consenso da parte di chi viene ripreso.

Ciò in quanto l’interferenza illecita prevista e sanzionata dal codice penale è quella che proviene da un terzo estraneo alla vita privata e non quella che, invece, proviene dal soggetto che sia stato ammesso a farne parte sia pure estemporaneamente.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 27160/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sull’impugnazione di un uomo, imputato per diversi reati commessi nei confronti della vittima, una donna (sposata, ma all’epoca separata di fatto) con cui aveva intrattenuto una breve relazione sentimentale.

Tra questi l’uomo era imputato anche di indebita ripresa audiovisiva: infatti, secondo la Corte territoriale, l’abusiva registrazione di un rapporto sessuale da parte dell’imputato configurava il delitto contestato ai sensi dell’art. 615-bis c.p. (Interferenze illecite nella vita privata) posto che l’uomo aveva invitato la persona offesa nella sua abitazione e aveva registrato un loro rapporto con l’intenzione di utilizzare tale filmato per esercitare pressioni sulla stessa, al fine di farle mantenere la loro relazione.

In Cassazione, la difesa contesta quest’ultima imputazione ritenendo che la ripresa del rapporto sessuale non avrebbe integrato alcuna interferenza illecita nella vita privata, non essendo stata questa effettuata da persona estranea alla convivenza.

Non è reato riprendere il rapporto sessuale con la compagna

Gli Ermellini ritengono di accogliere tale doglianza annullando parzialmente la sentenza grava ai soli effetti civili (essendo stato il reato già dichiarato estinto per prescrizione dalla Corte d’Appello) e richiamano a sostegno della decisione altra consolidata giurisprudenza di legittimità.

In precedenti pronunce (cfr. Cass., n. 22221/2017 e n. 1766/2007) si è precisato che non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva provveda a filmare in casa propria rapporti intimi intrattenuti con la convivente.

Ciò in quanto l’interferenza illecita prevista e sanzionata dal predetto articolo è quella proveniente dal terzo estraneo alla vita privata, e non già quella del soggetto che, invece, sia ammesso a farne parte, sia pure estemporaneamente. Ancora, appare irrilevante l’oggetto della ripresa, considerato che il concetto di “vita privata” si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato.

Il Collegio ritiene di condividere tale orientamento posto che la norma in questione, ovvero l’art. 615-bis c.p., significativamente collocata nella sezione quarta (del titolo dodicesimo, del libro secondo del codice penale) che comprende i “delitti contro l’inviolabilità del domicilio”, punisce le “interferenze illecite nella vita privata”, definendo come tale, come vita privata, quella che si svolge nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p. e, quindi, nel domicilio o nelle sue appartenenze, così mostrando come la condotta punibile debba consistere nella ripresa visiva o sonora da parte di chi a tale vita privata, e quindi al domicilio ove essa si stia svolgendo, non sia lecitamente ammesso.

Ne discende che non può commettere il delitto indicato chi si trovi lecitamente nell’abitazione all’interno della quale effettui una registrazione (di qualsivoglia azione si stia compiendo), perché tale soggetto è divenuto parte di quella “vita privata”.

Neppure possono trarsi diverse conclusioni, come invece ha fatto la Corte territoriale, nel caso in cui “chi si trovi lecitamente nella privata dimora vi abbia fatto ingresso (solo o anche) con l’intenzione di effettuare riprese, ancorché non autorizzate, posto che, anche in tal caso, mancherebbe la volontà dell’avente diritto di escluderlo dalla sfera della propria riservatezza, così che la registrazione di quanto avviene non potrebbe costituire, di per sé, un’indebita condotta”, mentre l’intenzione dell’agente rimarrebbe relegata nell’ambito dei moventi della condotta.

Nel caso di specie, tra l’altro, era dell’imputato il domicilio presso il quale era avvenuta la registrazione era e quindi la persona offesa non avrebbe avuto alcun diritto di escluderlo.

Infine, concludono gli Ermellini, neppure poteva affermarsi che quella particolare scena della vita privata fosse estranea all’imputato, visto che ne faceva egli stesso parte, e neppure può fondatamente ritenersi che la ripresa fosse indebita per il solo fatto che non fosse stata autorizzata dall’altro partecipe a quel particolare segmento della vita privata: la norma, infatti, ricollega il disvalore, di rilievo penale, della registrazione alla violazione dell’intimità del domicilio e non alla mera assenza del consenso da parte di chi viene ripreso.

Accolta l’impugnazione, la Corte decide consequenzialmente di eliminare la parte di risarcimento del danno conseguente a tale ritenuta responsabilità.

Cass., V pen., sent. n. 27160/2018

Fonte: Studio Cataldi – di Lucia Izzo

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