Caro Tito, mi sembra utile e doveroso riferirti dell’esistenza della marchesa Alessandra d’Epiro Dusmet de Beaulieu, con la quale ho avuto finora i seguenti due contatti telefonici: 1 – martedì 28 novembre 2023 dalle ore 21.20 per 8 minuti e 52 secondi; 2 – giovedì 30 novembre 2023 dalle ore 17.00 per 45 minuti e 39 secondi (quasi un’intervista). Come sono arrivato a Lei?… Cercando e ricercando su internet altre notizie sul libro di Gertrude Slaughter “Calabria la prima Italia” edito poche settimane fa da Giuseppe Meligrana di Tropea, tradotto in italiano da Sara Cervadoro e già in vendita su alcuni siti web al prezzo di 23 euro e 75 centesimi (308 pagine in brossura). Mi sono così imbattuto nel link << http://www.alexandradepirodusmetdebeaulieu.net/wp-content/uploads/2016/08/Gertrude-Slaughter-Capitolo-II.pdf >> con la traduzione del capitolo secondo “L’Italia prima dei Greci” tratto, appunto, dal libro originale della Slaughter “Calabria the first Italy” (Wisconsin University Press – USA – 1939 e tradotto nel 2014 dalla stessa professoressa d’Epiro (qui nelle iniziali due foto).

 

Incuriosito e sperando di trovare altre notizie inerenti tale Opera ho sfogliato i due suoi siti web: 1- https://www.alexandradepirodusmetdebeaulieu.net/ e 2 –  http://www.alessandradepirodusmetdebeaulieu.net/ che invito a visitare pure tu per renderti conto del grande personaggio che è questa donna della nobiltà europea e dai molteplici e poliedrici interessi socio-culturali ad alti livelli internazionali. E ciò che mi piace di Lei e che ammiro tantissimo è il fatto che tutto della sua vita converge alla Pace, al dialogo tra persone e i popoli, all’educazione ai valori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani promossa e adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 217 del 10 dicembre 1948 a Parigi, giusto giusto 75 anni fa. Ti ricordo che, nel 1967 quando avevo 17 anni, facevo mostre in piazza su tale Dichiarazione Universale che ho posta come base per il mio complesso musicale “Euro Universal” i cui sette membri vestivamo i sette colori della Pace e dell’arcobaleno. Inoltre proprio il 10 dicembre 1983 (nell’anniversario di Parigi 1948) ho celebrato in Agnone la prima “Festa dei Neo-Maggiorenni” dedicata, appunto, ai ragazzi che nell’anno erano entrati nella maggiore età. Dunque la professoressa Alessandra d’Epiro è una nobildonna assai valoriale, oltre che prolifica scrittrice, regista e Ambasciatrice dell’ONU per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e tante altre cose nel contesto internazionale dell’educazione alla Cultura e alla Pace. Tra tanto altro, ha una forte attenzione ed un incrollabile Amore verso la nostra Magna Grecia. Adesso vediamo perché.

1 – INTERESSE VERSO LA MAGNA GRECIA

Alessandra si sente ed è, in effetti, “cittadina del mondo” e come tale nutre molteplici interessi culturali ed umanitari … basta parlarci o leggere il suo Curriculum Vitae oppure l’elenco delle sue realizzazioni in tante parti del pianeta. E’ davvero un’intellettuale a tutto campo, a 360 gradi, formatasi nei migliori istituti universitari italiani, degli Stati Uniti d’America, d’Inghilterra e di altri Paesi. Tra tanto altro ha acquisito specializzazioni, masters e format dedicati dalle principali Organizzazioni internazionali alla difesa della Pace con i metodi della Diplomazia e della Cultura. Uno dei suoi principali interessi è, in particolare, tutto ciò che riguarda la storia della Magna Grecia, cioè il periodo di oltre cinque secoli che ha caratterizzato la zona jonica dell’attuale Calabria fino a Metaponto e Taranto (dal 773 al 275 a.C. circa cioè fino a quando i Romani non hanno conquistato gradualmente questi territori, sottomettendoli per altri 7 secoli, più o meno).

 

Poco prima della caduta della Magna Grecia (3° secolo a.C.) c’è un personaggio che appartiene proprio alla sua storia familiare di cui è e si dente “erede”. Infatti, mi ha raccontato che re Alessandro I d’Epiro detto il Molosso (370-331 a. C.) è suo remoto antenato. Tale re era addirittura zio materno e cognato dell’imperatore d’Oriente Alessandro Magno (356-323 a.C.). Varie antiche cronache raccontano che Alessandro I è morto in battaglia nei pressi di Pandosia di Cosenza nel 331 a.C. per difendere la città magno-greca di Taranto contro i Bruzi, come racconta lo storico romano Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) e come è riportato da  varie fonti, tra cui pure << https://www.treccani.it/enciclopedia/alessandro-il-molosso-re-d-epiro_%28Enciclopedia-Italiana%29/ >> . Come è noto, giusto per avere un’idea, l’Epiro storico (ai tempi della Magna Grecia) era una regione del sud dell’attuale Albania, prospicente la nostra regione Puglia.

 

Il disegno strategico della famiglia di Filippo II di Macedonia (382 – 336 a. C.) pare fosse quello di diventare il padrone di tutto il mondo allora conosciuto, facendo conquistare l’Oriente al figlio Alessandro Magno e l’Occidente al genero e cognato Alessandro I il Molosso. Come sappiamo, Alessandro Magno riuscì nel suo intento (anche se per breve tempo) mentre Alessandro I il Molosso fu fermato proprio in Calabria nei pressi di Cosenza. Secondo il racconto degli storici antichi, pare che parte del corpo di questo re Alessandro I d’Epiro sia sepolta nei pressi di Pandosia. Questa città pare fosse l’antica capitale degli Enotri di re Italo nel XV secolo a.C. individuata secondo alcuni nell’attuale città di Acri (tendente al versante jonico della provincia di Cosenza), secondo altri, come la stessa nobildonna Alessandra, in una città nel corso superiore del fiume Savuto, nei pressi dell’attuale territorio del Comune di Rogliano, sempre in provincia di Cosenza, però affluente al versante tirrenico).  L’altra parte del corpo pare sia stata portata in Epiro per essere restituita alla famiglia. Di tale re Alessandro I il Molosso esistono due monete (una dorata e l’altra grigia) su cui è raffigurato il suo volto di giovane conquistatore.

 

La marchesa Alessandra mi racconta che, a ricordo del luogo, dove morì tale re Alessandro I, sia stata piantata una quercia che adesso è diventata gigante (sempre se è sempre la stessa o che più probabilmente sia stata rinnovata). La quercia è la figura centrale dello stemma della sua casata d’Epiro. Sorge spontanea la considerazione che la zona di Cosenza conserva i corpi di due re, questo Alessandro I d’Epiro (331 a.C.) e Alarico, condottiero dei Visigoti, sepolto nel 410 d. C. nell’alveo del fiume Busento nei pressi del capoluogo bruzio con tutti i suoi tesori derivati dal “sacco di Roma” di poco tempo prima (24 agosto 410).

2 – CALABRIA LA PRIMA ITALIA

La prolifera scrittrice Alessandra d’Epiro mi ha riferito che a segnalarle il libro “Calabria the first Italy” sia stato (attorno al 2014) il prof. Pietro De Leo (nella foto), di origini pugliesi, morto a 84 anni il 13 luglio 2023) per quattro decenni eminente docente di Storia medievale all’Università della Calabria in Arcavacata di Cosenza e, tra tanto altro, pure Presidente dell’Istituto Internazionale di Epistemologia “La Magna Grecia”. Peccato a non averlo saputo prima, altrimenti il prof. De Leo avrebbe potuto essere utilissimo per un’edizione italiana del libro della Slaughter, con molto anticipo sui tempi attuali! … A volte la vita!….

 

Dopo tale segnalazione, la professoressa d’Epiro si è messa a tradurre con l’intento di pubblicare in italiano un’edizione commentata dell’opera. Purtroppo le vicende della vita non Le hanno permesso di realizzare tale desiderio e, nel suo sito, si è limitata a pubblicare i primi due capitoli tra cui il secondo che (da me intercettato al link <<http://www.alexandradepirodusmetdebeaulieu.net/wp-content/uploads/2016/08/Gertrude-Slaughter-Capitolo-II.pdf >>)  trascrivo qui di sèguito come allegato a questa “Lettera n. 507”. Adesso pare che la scrittrice Alessandra si possa rendere disponibile a pubblicare in originale inglese il testo della Slaughter evidenziando sue considerazioni che potrebbero interessare pure le scuole che studiano la lingua anglosassone più diffusa al mondo.

3 – CAPITOLO SECONDO DI << CALABRIA LA PRIMA ITALIA >>

Caro Tito, per offrire ai nostri lettori un significativo assaggio del libro di Gertrude Slaughter “Calabria the first Italy”  (edito nel luglio 1939 da Wisconsin University Press – in Madison – USA) ti trascrivo, qui di sèguito, l’illuminante capitolo secondo “La Calabria prima dei Greci” per come tradotto dalla professoressa Alessandra d’Epiro nel 2014 (vedi pure << http://www.alexandradepirodusmetdebeaulieu.net/wp-content/uploads/2016/08/Gertrude-Slaughter-Capitolo-II.pdf >> ). Sarebbe utile ed opportuno confrontare tale traduzione con quella fatta da Sara Cervadoro e presente da pagina 21 a pagina 28 del testo italiano pubblicato dall’editore Meligrana di Tropea (VV) agli inizi dello scorso novembre 2023 con il titolo “Calabria la prima Italia”. Preciso che il testo originale della d’Epiro è senza immagini e che ho inserito alcune foto (attinenti l’archeologia di prima, durante e dopo la Magna Grecia) unicamente per rendere più piacevole la lettura.

Ed ecco il capitolo “La Calabria prima dei Greci” …

Alcuni anni fa Paolo Orsi fece una scoperta che, secondo l’opinione di altri archeologi, consiste in una rivelazione. A suo dire, essa: “diffonde grande ed inattesa luce sul mistero della Calabria” e “contribuisce correttamente” predice Randall-MacIver “a dare un nuovo orientamento a tutte le nostre idee sulla cultura pre-ellenica dell’Italia Meridionale”. Inoltre essa può donarci il senso della cultura diffusa che rese l’Italia nel quarto secolo a.C. “un paese civilizzato da un confine all’altro e pronto all’unificazione politica sotto i Romani”.

 

Che l’Italia e l’isola di Sicilia rappresentassero due forme di cultura separate e distinte non è stato mai dubitato prima. Nel corso delle ere preistoriche esse si erano mosse lungo linee differenti ed orbite totalmente diverse. Le vie commerciali della Sicilia erano state vie marittime, che conducevano attraverso l’Egeo a Creta e Micene. Quelle dell’Italia, d’altra parte, erano strade di comunicazione con l’Europa centrale; persino quelle parti della penisola laddove la razza neolitica si era conservata avevano avuto i loro contatti e le loro relazioni commerciali con le comunità Europee. La linea divisoria tra queste due civiltà è stato sempre supposto che fosse lo Stretto di Messina.  

Questa differenziazione iniziò nell’Era Neolitica, quando tutta l’Italia fu occupata da un’unica razza Mediterranea che era arrivata nella penisola durante l’Età della Pietra, un ramo via Spagna, l’altro ramo via Sicilia. Ma il grande cambiamento iniziò quando, all’inizio dell’Età del Bronzo, le tribù settentrionali discesero attraverso le Alpi in successive migrazioni e si stabilirono a Nord e ad Ovest, penetrando almeno fino al sito di Roma. Questi erano popoli che cremavano i morti mente la razza che spodestarono seppelliva i morti nella terra. Quanto si estese la loro influenza ha costituito sempre materia di argomentazione. E’ certo comunque che nel Sud d’Italia ed in una regione lungo l’Adriatico conservassero l’antico costume di sepoltura, una indicazione che loro erano etnicamente immutati.

L’alto livello di cultura raggiunto dagli invasori cremanti, specialmente dopo i loro contatti con gli Etruschi, è conosciuto da tutti coloro i quali hanno visto il loro vasellame e i lavori in metallo nei musei dell’Italia Settentrionale e Centrale. Allo stesso tempo, dice il Professor Peet “le isole Italiane, specialmente la Sicilia e la Sardegna, rivestirono un ruolo nel progresso della civiltà che non può essere trascurabile”. I Siciliani erano persone indipendenti e originali. Dal contatto con la cultura Egea derivarono modelli e metodi per il vasellame con cui riempivano le loro tombe intagliate nella roccia. Questo bellissimo vasellame sembra indicare uno “splendido barbarismo” che conservarono fino alla fine dell’Età del Bronzo”. E proprio quando esso stava degenerando, insieme con l’arte Micenea, i Siciliani furono salvati e venne loro data fresca ispirazione dall’arrivo dei coloni Greci.

 

Ora il Professor Orsi ha scoperto che questa razza di “splendidi barbari”, i Siculi che abitavano la Sicilia dimorarono anche in Calabria. Da due larghi tumuli sepolcrali scavati vicino alla città Greca di Locri (la moderna Gerace) e da centinaia di tombe che egli ha trovato quasi intatte, ha ottenuto prova che il popolo era dei Siculi. Loro stavano importando vasellame Miceneo all’inizio dell’Età del Ferro; come i Siciliani, essi si spostavano nell’orbita dell’Egeo e non dell’Europa Centrale. Essi erano stati a contatto con i Greci per centinaia di anni prima che la colonia di Locri venisse fondata nell’ottavo secolo. Sembra non ci sia alcun dubbio, dopo l’accurato studio di Orsi dei contenuti di queste tombe, che i popoli della Calabria fossero identici nelle caratteristiche della razza e delle attività ai Siculi della Sicilia.

Uno di questi tumuli funerari sul versante Ionico della catena montuosa; l’altro è ad ovest delle montagne sul mar Tirreno. Essi rappresentano gli insediamenti dello stesso popolo, avente gli stessi riti funerari e lo stesso modus vivendi. Ma ci sono evidenti differenze tra loro, differenze che sembrano provare che quelli sul mar Tirreno, rivolti ad ovest, vennero a contatto con i Greci molto più tardi che quelli rivolti ad Est, verso l’Egeo. Vicino ad entrambi i terreni sepolcrali, i siti delle cittadine precedenti sono facilmente localizzati dalle fondazioni delle case. Entrambi gli insediamenti erano in luoghi alti, dove c’era naturale protezione e i campi sepolcrali erano sui clivi delle colline adiacenti.

Entrambe le cittadine erano occupate da popoli bellicosi sufficientemente avanzati per aver decorato le loro armi di bronzo e ferro riccamente ed in bel modo. Erano cacciatori, pastori e contadini. Le differenze nel sito spiegano certe differenze nei due luoghi di sepoltura. Dove la terra era rocciosa costruivano 3 camere e anticamere precisamente come quelle in Sicilia. Nella stanza interna collocavano tutti i membri di una famiglia, circondati dai vasi di cui avrebbero avuto bisogno per mangiare e bere nella vita futura. I morti venivano sepolti completamente vestiti come in vita, gli uomini persino armati di spade e lance e aste, le donne con collane, anelli e bracciali (da polso e da braccio). Bronzo e ferro, argento e persino oro, lavorato in molti modelli erano usati per questi ornamenti e per le fibulae con cui erano adorni gli indumenti sia degli uomini che delle donne. Resti di tessuto scoperti negli scavi mostrano che tessevano almeno alcuni dei loro indumenti ed alcuni strani oggetti conici ricoperti da disegni geometrici si dice fossero pesi usati nella tessitura.

 

Orsi, che ha studiato la Calabria moderna altrettanta diligenza della Calabria antica, è stato capace di spiegare questi misteriosi attrezzi perché egli ne aveva visti simili ancora in uso nelle remote cittadine tra le montagne. Tutte queste scoperte non solo cambiano la storia preistorica dell’Italia ma danno una nuova visione dei metodi della colonizzazione Greca. Secondo la tradizione, le città Greche furono fondate ciascuna da eroi avventurosi, di ritorno da Troia o in fuga dalle invasioni persiane e sempre su predizione dell’Oracolo di Delfi. Ora vediamo Greci meno eroici ma ancora avventurosi commerciare per un intero secolo con i nativi lungo le coste prima che alla fine giungano con le loro famiglie ed i loro dei a prendere possesso di siti più prosperi. Mentre consentivano ai popoli di continuare la loro vita normale e i loro culti nativi, loro tornavano dalle coste, poiché avevano preso in mano il commercio marittimo.

All’inizio dividevano la terra e vivevano in comunità di vicinato, dividendo un porto e forse le mura di protezione. I nativi, loro trovarono, avevano già aperto una caravan route attraverso le montagne verso la sponda opposta e loro consideravano ciò vantaggioso per mandare le loro merci greche lungo la stessa rotta. In alcune stagioni dell’anno questa caravan route era vivace, con i commercianti che conducevano i loro asini carichi avanti e indietro sul sentiero a precipizio. Il risultato di questo chiassoso commercio fu che i posti lungo la rotta diventarono parzialmente ellenizzati, poiché i costumi e la lingua dei Locridi aumentavano in familiarità. Con l’andar del tempo, la seconda e terza generazione dei coloni grechi furono ambiziosi di controllare maggiormente il commercio occidentale e di competere con i mercanti arrivati dal mare. Perciò essi attraversarono le montagne in forza e fondarono le colonie di Hipponion e Medma.

L’insediamento orientale dei Siculi, a Torre Galli, era situato al di sopra di questa caravan route. Esso fu lasciato intatto dai Greci e la sua vita può essere ricostruita dal nono al sesto secolo. Noi ora sappiamo precisamente quando le merci greche si diffusero, poiché esse sono state ritrovate nelle stesse tombe insieme a lavori di manifattura indigena e con molte altre cose che provano che questi popoli si fossero relazionati con la Campania e l’Italia centrale. Non ci fu repentino cambiamento. Ma è stato stabilito senza alcun dubbio che il contatto di Torre Galli con i Greci iniziò quasi cento anni dopo la fondazione di Locri. Nell’insediamento Orientale, a Canale e altri sobborghi di Locri, Orsi ha scoperto quantità di vasellame simile a quello della Sicilia preistorica. Niente di tale epoca è stato ritrovato nelle Tombe di Locri e niente a Torre Galli. La conclusione sembra essere che il popolo di Canale stesse ricevendo i manufatti Grechi molto prima che la colonia fosse fondata e che non molto tempo dopo il suo insediamento gli articoli greci trovarono la loro via oltre le montagne per Torre Galli.

 

Ci sono pochi indizi di scambi con la Campania, a Canale. Essa si mosse nell’orbita della Sicilia. Così i Locridi si stabilirono tra la gente con la quale aveva già familiarizzato. Senza dubbio molti Siculi intrapresero buone negoziazioni con i nuovi arrivati; le tombe più lussuosamente arredate sono le più recenti. Molti di loro senza dubbio rimasero nella città, adottando i costumi e la religione degli Elleni. Altri si riunirono con le proprie genti, forse critiche ed ostili persino imparando dagli intrusi. Del tempo in cui Locri divenne città di grandi artisti, legislatori e filosofi, i sepolcri di Canale non offrono tracce. E’ prudente ritenere che le altre colonie avessero in generale la stessa esperienza di Locri le varianti che saranno spiegate con l’approfondirsi della nostra conoscenza. Può esser dimostrato che tutto il territorio della Magna Grecia fosse una volta occupato dai Siculi.

Orsi credeva che le scoperte isolate in altri luoghi rientrassero in questa visione. C’è il vasellame geometrico di Taranto che deve essere spiegato e a Matera la collezione unica che non somiglia a nulla in Italia ma mostra la stessa origine di quella di Sicilia. Nella piccola città di Matera, non lontano da Taranto, un autorevole anziano gentiluomo, il Senatore Ridola, realizzò delle ricerche per tutta la vita, da solo e senza alcun aiuto. Egli conservava tutto quanto ritrovasse e la sua collezione, che è stata donata allo Stato, è stata un puzzle per gli archeologi. Le sue ceramiche, indicanti direttamente la Sicilia, sembravano contraddire tutte le conclusioni precedenti, poiché la totale mancanza di qualunque comunicazione oltre lo Stretto era stata una conclusione scontata.

Il Senatore Ridola condivise la sua opinione che gli abitanti dell’Italia nell’Era Neolitica fossero identici a quelli della Grecia, essendo la stessa razza giunta in Europa dall’Africa attraverso il mare. Secondo questo punto di vista, le invasioni più tarde dell’Italia dal Nord corrispondono alle invasioni Doriche della Grecia. Ma a causa dei loro contatti con l’Oriente, le isole e la terraferma della Grecia furono sempre molto più avanti dell’Italia in qualsiasi periodo del progresso. Quando il Senatore Ridola mi mostrò la sua collezione, egli fece notare che il vasellame dell’Età della Pietra, inciso prima di ogni cosa tranne i più rudi utensili inventati, fosse più veramente più bello di quello dell’Età del Bronzo. “I popoli dell’Età del Bronzo”, disse “avevano più abilità e conoscenza dei popoli precedenti. Erano più ricchi e sapevano come manifatturare gli utensili. Ma avevano perso il loro senso artistico”- altra illustrazione di cosa accadesse intorno a Bologna nell’industriale Età del Ferro. Procedemmo attraverso la collezione, cronologicamente organizzata, finché non raggiungemmo del vasellame che mostrava l’influenza Greca. “Poi arrivarono i Greci” io osservai; a cui egli velocemente replicò: “Poi tornarono i Greci” aggiungendo con cautela scolastica: “Noi non sappiamo, non sappiamo ma pensiamo così”. In quel “noi” io percepii l’orgoglio dell’uomo che vi aveva lavorato (alle ricerche e alla collezione) da solo per tutta la vita e al quale piaceva pensare che la sua fatica solitaria lo unisse alla fraternità degli scolari.

 

Ci sono altri della stessa fede e dello stesso orgoglio in quelle città sconosciute dove così tanto giace attendendo di illuminare il “mistero della Calabria”. Purtroppo ci sono anche persone senza coscienza che porteranno via qualsiasi ritrovamento. Ed in passato molti di loro son stati stranieri. Ma non sempre. Quando Orsi lasciò i suoi scavi per un breve periodo un’estate, le tombe furono derubate; ma in quella occasione, almeno, il governo non rimase indifferente. Ogni casa del villaggio fu perquisita e molti oggetti furono recuperati ma solo quelli che non potessero essere nascosti ai poliziotti. Quella perdita, comunque, non è nulla se comparata al materiale che è stato preso in passato per arricchire musei stranieri e speculazioni private. Peccato che, secondo Orsi, sia scomparso prima di essere studiato. Egli stava sempre combattendo per comporre frammenti di conoscenza. Aveva nel suo proprio campo la passione per l’unità che ispirava i filosofi Grechi del Sud d’ Italia. Ma non avrebbe consentito a questo desidero di portarlo oltre la certezza dei dati scientifici. Egli fu cauto nell’affermare i limiti di questa scoperta in Calabria. Essa non prova nulla, disse, sugli avi di questo popolo; non può essere usata per spiegare le origini di questa razza e i suoi primordiali spostamenti. Egli fu anche cauto nel distinguere tra razza e cultura. Queste popolazioni erano Sicule di razza. Culturalmente mostravano affinità con la Campania e l’Europa centrale, specialmente a Torre Galli, che era più vicina alla Campania.

Tutto ciò Orsi stabilì con la sua grande opera. Inoltre egli era reticente ad andar via. Cercando nuova conoscenza con l’abnegazione di un ascetico ed il coraggio di un martire, egli si fondò su fatti reali. Nonostante fosse straordinario nelle sue intuizioni e potesse di poco errare nella convinzione che tracce di altri Siculi potessero ancora essere ritrovate in terra di Magna Grecia. E’ interessante che il primo capitolo nella storia archeologica della Calabria confermi gli antichi storici, la testimonianza dei quali, poiché non sapevano niente di antropologia e della tradizione soltanto citata, era stata accantonata come priva di valore da molti studiosi. Tucidide e Polibio, citando gli storici più antichi che avevano vissuto in Magna Grecia, affermarono che i Siculi avevano dimorato sia in Sicilia che nell’Italia meridionale ma è stato assunto che le loro fonti native fossero inaffidabili. Al non iniziato che vede sempre di più la dimostrazione di verità di queste antiche tradizioni attraverso il metodo scientifico, lo scetticismo degli studiosi sembra esagerato.

 

Quando Erodoto disse che gli uomini di Mileto iniziarono a lamentare la distruzione di Sibari, egli fu ritenuto che indulgesse in vana fantasia. Ma la teoria moderna delle rotte commerciali attribuisce significato a queste parole. Poiché è risaputo che Sibari era il mercato che scambiava le merci con Samo e le trasportava via terra verso gli Etruschi, è chiaro che lo storico stava pittorescamente narrando un fatto autentico. Un’altra storia di Erodoto può provare di essere fondata sui fatti. Nel ripetere una leggenda su re Minosse e Dedalo, egli dice che le navi dei Cretesi furono condotte dalla Sicilia alle coste di Iapygia; cioè alla regione oltre Taranto che era l’antica Calabria. Iapygi e Messapi che occupavano la penisola sono conosciuti per essere stati popoli con grande forza di resistenza e i Tarantini ebbero problemi con loro all’inizio. Può ancora essere provato non solo che questi Messapi o Iapygi fossero Siculi ma anche, a discapito delle contrarie conclusioni degli archeologi, che fosse costume per le navi fare andirivieni tra la Sicilia e la terraferma. Infatti, si deve solo guardare la carta geografica per realizzare che le navi che non potessero avventurarsi lontano dalla riva dovessero aver rasentato le coste della Calabria sulla via verso la Sicilia.

Gli eroi Troiani delle leggende passarono per qualche ragione accanto ai Messapi ma sbarcarono in molti posti a Sud di Taranto. Può essere che i Messapi fossero un ramo dei Siculi che rifiutò di essere amichevole con i coloni Grechi ed avesse la forza militare per loro resistere. Un personaggio dell’Odissea dice di andare a Temesa, nel territorio della moderna Calabria, per scambiare ferro con rame splendente. Probabilmente i Messapi rifiutarono di effettuare tali scambi, preferendo essere autosufficienti ed indipendenti. Ciò che guadagnarono in indipendenza il mondo perse nella diffusione della cultura ellenica, poiché nessun antico insediamento Greco fu realizzato nel loro territorio. Se Erodoto conosceva ciò di cui parlava è un peccato che non ci abbia raccontato di più. Egli visse per qualche tempo in Magna Grecia; egli prese parte alla fondazione di Thurii, la colonia Ateniese e vi morì. Si suppone che possa avervi scritto la sua Storia. Ciò che ci racconta può essere niente di più che la tradizione raccolta nella regione ma è significativo che tutte le date tradizionali per la fondazione delle colonie greche siano state confermate dalla ricerca archeologica. Esse son state difficili da riscontrare perché abbiamo saputo così poco della preistoria dell’Italia meridionale. Ora il procedimento di verifica è iniziato. La conclusione è stata già tratta.

 

L’archeologo svedese Nils Aberg, in un libro sulle Età del Bronzo e del Ferro, pubblicato nel 1931, mantiene la tesi senza precedenti che la cultura dell’Etruria e dell’Italia centrale dal 1000 al 400 a. C., interamente a causa del commercio con l’Egeo attraverso la via della Calabria, stabilì una corrente di influenza dall’Oriente all’estremità meridionale dell’Italia e da lì verso le Alpi. L’influenza dell’Etruria diviene così secondaria rispetto a quella della Magna Grecia e della Calabria Sicula. E’ una teoria che giustifica molti inspiegati prodotti del Nord. Se accettata realizzerà la predizione di Randall-McIver che la scoperta di Orsi “illumina nel dare nuovo orientamento a tutte le nostre idee sulla cultura pre-ellenica dell’Italia meridionale”.

Tucidide descrisse i Siculi dei suoi giorni che vivevano le loro vite indipendenti in ampie regioni della Sicilia. A loro fu fatto appello dai Siracusani per aiuto nel fortificare la città. Loro non erano affatto selvaggi ma un popolo dedito all’agricoltura con tradizioni di arte e cultura alle spalle. Più sappiamo riguardo alla stupefacente civiltà dell’Egeo, più sappiamo dei Siculi. In un unico periodo loro costruirono tombe come la famosa Tomba di Agamennone. Durante il periodo degli Arabi e dei Bizantini queste tombe furono saccheggiate dell’oro e dell’argento e di molto del bronzo. Il loro vasellame fu lasciato poiché non aveva valore per i predatori. Il fatto che la stessa razza vivesse nella Calabria pre-ellenica e avesse le stesse relazioni con l’Egeo orientale suggerisce molte possibilità. Esso apre un nuovo campo per ulteriori coltivazioni. Il cambiamento della prospettiva archeologica può modificare la Storia. E’ possibile che avremo presto una nuova accezione di come Roma fosse preparata a trasmettere al mondo la nostra eredità ellenica. – stop –

4 – TUTTI A REGGIO C. MERCOLEDì 20 DICEMBRE !!!

Caro Tito, invito te e tutti coloro i quali vogliono vivere un evento davvero speciale di essere presenti al “battesimo sociale” dell’edizione italiana del libro di Gertrude Slaughter “Calabria la prima Italia” tradotto da Sara Cervadoro, freschissimo di stampa e diffuso da Giuseppe Meligrana di Tropea (VV). L’appuntamento è a Reggio Calabria per le ore 18.00 di mercoledì 20 dicembre 2023 al Museo del Bergamotto in Via Filippini 50 (tel. 388-1299103).

 

Tale evento è organizzato, su mio input, dal Club Unesco “Re Italo” (presidente Alberto Gioffré) con il patrocinio della Pro Loco cittadina (presidente Pino Tripodi), dell’associazione Kronos 1972 (presidente Susanna Quattrone) e dell’Associazione Sandhi (presidente Alessandro Gioffré d’Ambra). Interverranno gli studiosi Franco Arillotta, Daniele Castrizio, Felice Costabile. Saranno pure presenti la traduttrice, l’editore, altri scrittori e appassionati della “Calabria Prima Italia” nonché alcuni imprenditori che, nel nome di Re Italo e della Prima Italia, offriranno un assaggio dei loro prodotti legati al territorio calabrese. Seguirà dibattito e rinfresco. Quindi, tutti a Reggio per dare maggior valore a questa “prima nazionale” di un libro estremamente importante per il miglior orgoglio calabrese e italiano! …

5 – SALUTISSIMI

Caro Tito, a conclusione di questa “Lettera n. 507” mi corre l’obbligo e voglio ringraziare pure qui (davvero tanto e di vero cuore) la marchesa Alessandra d’Epiro per la grande gentilezza, signorilità e la generosa disponibilità dimostrate nei colloqui telefonici e nel fornirmi notizie a me molto utili. Per il resto spero che qualche altro giornalista molto molto più bravo, più esperto e più adatto di me e con vera gloria nazionale (come ad esempio l’amico-maestro Pino Nano) possa descrivere meglio questo personaggio di altissimo rango, di aristocratico lignaggio e di enorme vastità intellettuale e sociale.

 

Per il momento non mi resta che evidenziare la foto (pure beneaugurante il Buon Natale) che raffigura una recente ristampa inglese di “Calabria the first Italy” per come inviatami dalla prof.ssa Sara Cervadoro la quale l’ha avuta qualche giorno fa in dono da un’amica di Pittsbourgh (Pennsylvania, USA).

Una edizione simile è acquistabile online in India. Perciò, tantissimi Auguri di BUON NATALE a tutti. Con tanta cordialità e arrivederci a Reggio Calabria!

Domenico Lanciano (www.costajonicaweb.it)

ITER-City, mercoledì 06 dicembre 2023 ore 11.55 – Da 56 anni (dal settembre 1967) il mio motto di Wita è “Fecondare in questo infinito il metro del mio deserto” (con Amore).

 

Le foto, cui i diritti appartengono ai legittimi proprietari, sono state prese dal web. Alcune mi sono state fornite dalla nobildonna Alessandra d’Epiro.