OLYMPUS DIGITAL CAMERACaro Tito, il mio stimatissimo amico Antonino Picciano (medico, omeòpata, giornalista, poeta), molisano di Campochiaro ma vive a Battipaglia (Salerno),  sabato mattina 20 maggio, mi ha molto gentilmente donato il libro scritto dal nostro corregionale e carissimo suo amico Leonardo Mastìa un avvocato penalista che (nato nel  1947 a Campana, in provincia di Cosenza, e residente a Battipaglia) svolge da sempre la sua cospicua attività legale prevalentemente nei Tribunali di Salerno e Napoli.

Il comune di Campana (tra il mare Jonio e la Sila dei laghi)  è famoso nel mondo per la presenza nel suo territorio di un gigantesco elefante di pietra.

copertina-il-viale-degli-angeli-libro-di-leonardo-mastiaTale libro è stato pubblicato in cartaceo da Alfredo Guida Editore di Napoli (società di antica data e di prestigiosa storia  ma che adesso pare sia in liquidazione) nel numero di luglio 2011 del  suo periodico quindicinale “Lettere Italiane”. Formato tascabile (cm  14 x 21), consta di 302 pagine ed è intitolato “IL VIALE DEGLI ANGELI (Boulevard Sérurier)”.  Una suggestiva copertina blu notte  lascia intravedere la sagoma di tre persone in basso e, un po’ più in alto, la classica ed arcinota figura slanciata della Torre Eiffel, simbolo di Parigi e dell’intera Francia.

Visto il titolo e la copertina, si capisce sùbito che la storia qui raccontata avviene  prevalentemente nella capitale francese, una città (e non è un luogo comune)  davvero fascinosa e affascinante, quanto bella e seducente, dove solitamente ci si reca per trascorrere liete ed interessanti  giornate di svago. E, in effetti, in un primo momento, ho pensato che l’Autore avesse voluto descrivere una sua frizzante e utile esperienza ricreativa nella celebre “Ville lumière”, ponendo al centro della narrazione un “viale” … Boulevard Sérurier.

Mi sono, perciò,  apprestato ad aprire quelle pagine con l’animo curioso ed aperto a questa meravigliosa città da me conosciuta  e vissuta per alcuni giorni, nel suo centro storico più classico e turistico, nel settembre 1997, a poco più di due settimane dalla morte dell’indimenticabile Lady Diana Spencer al “Tunnel  de l’Alma” (31 agosto 1997), dove io e mia moglie abbiamo reso sincero e commosso omaggio al suo valore di donna (nata nel 1961)  e di “principessa triste” tragicamente ed inesorabilmente  stritolata da ingranaggi feroci e senza alcuna pietà. Le saremo sempre devoti!

Invece, a pagina 9, la “Prefazione” (firmata da Paolo Carbone) inizia in modo assolutamente diverso, diretto, inequivocabile, sorprendente e rivelatore, raggelando di colpo le mie più gioiose aspettative di lettura: “Un libro nato dal dolore più lancinante e innaturale: la perdita di un figlio”.

Sgomento e deluso, ho chiuso immediatamente il libro. Ed ho pensato ad altri giovani, ad altri figli che hanno lasciato “orfani” i loro genitori, in particolare ho pensato al  24enne poeta Tonino TRAPAGLIA di Belmonte del Sannio, al 28enne poeta Dominique FERRANTE di Campobasso, all’amico Pasquale LOPRETE di Badolato Marina, del cui ricordo familiare e sociale mi sono preso cura a lungo. Non sono riuscito più ad aprire il libro per qualche giorno, dopo aver letto la terribile ed inattesa frase.

Quello dei figli che muoiono prima dei loro genitori è un tema che mi ha drammatizzato l’esistenza per la sua ingiustizia universale piuttosto che per la sua innaturalità temporale tra le generazioni. E siccome sono allergico per nascita alle ingiustizie, non riesco ad accettare nemmeno quelle che parrebbero provenire  addirittura da un “Dio” o da un “Creatore” a prima vista molto e irriducibilmente malvagio.

E non potevo non pensare ai miei cuginetti, (Margherita Iolanda  12 anni e Vittorio Alberto 5 anni), la cui contemporanea morte nel febbraio 1944, per un residuato bellico, ha straziato tutta la numerosa famiglia e parentela, facendo letteralmente impazzire la loro mamma che ha trascorso la sua restante e triste esistenza (oltre 50 anni) nel manicomio di Reggio Calabria. E, di conseguenza, come non pensare a tutti quei milioni di bambini innocenti che nel mondo, ogni giorno, muoiono tragicamente ed ingiustamente nelle guerre, ma anche  per  fame e sete e per ogni altro tipo di violenza e sfruttamento?… Inoltre, durante la mia infanzia e giovinezza, ho visto fin troppi bambini morti in incidenti stradali o annegati in mare oppure in altre situazioni di precarietà e di povertà più o meno assoluta! Ma anche per “malasanità” come è successo al mio nipotino Bruno nel 1973.

Mi apprestavo, dunque attraverso tale libro di Mastìa, a conoscere un altro caso (o tanti altri casi) di morti  troppo premature che destabilizzano interi assetti familiari, provocando quel dolore che, per sua natura (sangue del mio sangue) non  potrà passare mai definitivamente, nonostante l’elaborazione del più tremendo  lutto con cui sarà necessario convivere, come quando si deve pur continuare ad esistere con un arto amputato, un cuore trafitto (la Madonna addolorata ne è emblema supremo), un’anima annichilita, una mente raggelata. Dopo un evento così tanto immane non si può essere più come prima. No! No!

Caro Tito, ti sono sincero (come sempre, ovviamente) ma adesso ancora di più e intimamente. Ho dovuto faticare molto nel predispormi a questa che non è una lettura come le altre. Il libro di Mastìa contiene una storia speciale, purtroppo  vera quanto tragica, che ha necessità di un animo molto sensibile per accoglierla. Con rispetto e devozione. Con sacralità. E’ quel tipo di lettura che potrebbe sconvolgere o addirittura cambiare qualcosa della propria vita (specialmente a coloro i quali non hanno mai contemplato prima il valore, l’imprevedibilità, l’atrocità e la potenza della morte). Una storia-verità che potrebbe sicuramente sconvolgere soprattutto i genitori che hanno figli o nipoti in tenera età. Non è certamente un libro facile, anche se la bravura umana e descrittiva dell’Autore ci potrebbe porre nelle migliori condizioni per leggerlo tutto d’un fiato. Fatte salve le forti emozioni che possono ritardare o fermare le pagine, come è successo a me.

Tu, caro Tito, sai che non ho voluto avere figli … per tanti motivi che, un giorno forse, elencherò. E se li dovessi elencare per percentuale, potrei dire che un buon 20% dei motivi sul totale è dovuto proprio al fatto che sono sempre stato fermamente e profondamente convinto che non sarei sopravvissuto al più atroce dei dolori … appunto … la perdita di un figlio (specialmente se in tenera età). Non tutti siamo adatti a fare tutto, in particolare i genitori per la cui missione ci vuole una convinta e decisa vocazione e un’infinita energia vitale ed esistenziale. Vocazione genitoriale ed energia che non ho mai avuto e ancora non ho (ma la cosa è ormai quasi del tutto irrilevante, essendomi già avviato verso il viale del tramonto).

Perciò, ammiro davvero assai coloro i quali  non solo sono sopravvissuti a tanto strazio, ma, anzi, riescono a trarre nuove energie per essere più utili agli altri, proprio in nome e per rendere onore e ricordo alla loro irrimediabile e dolorosissima perdita. Così come ammiro, adesso, Leonardo Mastìa, il quale è riuscito a fare pure della scrittura la sua terapia migliore per elaborare e superare il lutto, rendendolo fecondo anche per la riflessione e la forza di altri. E potrebbe essere vero, in questo caso, il fatto (anche evangelico) che il seme produce frutto soltanto se muore. Ma a quale prezzo?!!! … Non sarebbe stato meglio evitare la perdita e il conseguente dolore?!!!… Gli interrogativi esistenziali si affollano ed anche Leonardo Mastìa annota i suoi  infiniti “Perché?”. Diventa impossibile rassegnarsi senza capire! E capire è un diritto dell’essere umano! La fede a volte non basta. E non basta nemmeno la migliore “preparazione alla morte” (propria e di altri)!

ospedale-pediatrico-robert-debre-parigiRicordo che nel 1967un bravissimo prete-insegnante di lettere nel Liceo classico salesiano di Soverato ci fece, in quinta ginnasio, la seguente considerazione riguardante Giacomo Leopardi: “Forse sarebbe stato meglio avere un grande Poeta in meno nella Letteratura italiana piuttosto che un uomo infelice”.

Così, caro Tito, provo a raccontarti in breve le vicende del libro IL VIALE DEGLI ANGELI sperando che queste pagine possano essere di conforto pure per altre persone alle prese con drammi molto simili a quello che hanno dovuto vivere e subìre il suo Autore, come uomo e come padre, e la sua famiglia. Gli esempi, le esperienze degli altri, a volte, possono darci più coraggio. Come coraggio hanno elargito i genitori dei 27 bambini morti il 31 Ottobre 2002 alle ore 11,33 sotto il crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia (in basso Molise) … bambini che fin da sùbito sono stati definiti ed invocati come “GLI ANGELI di San Giuliano”. Il loro sacrificio, inoltre, è valso ad allertare famiglie e governo sul problema diffuso delle scuole insicure, che adesso è un’emergenza ed una preoccupazione istituzionale non soltanto nazionale.

Di solito, per avere migliore conforto o rassegnazione, per non impazzire e farsi una ragione, da millenni riteniamo che i bambini che muoiono diventano poi “Angeli”. Vero o no, però, l’immagine che i nostri amatissimi cari teneri bambini possano essere assimilabili ad “Angeli” (ovvero, persone o spiriti purissimi  vicini a Dio come nessun altro) ci rende il dolore un po’ meno distruttivo e sopportabile. E, dove non arriva la cosiddetta fede religiosa, potrebbe esserci utile questa nostra tanto antica quanto necessaria  “mitologia” laica e popolare!

Leonardo Mastìa ci racconta, in questo suo libro di esordio come scrittore, che il “VIALE DEGLI ANGELI” (cioè il “Boulevard Sérurier” al centro di Parigi) potrebbe così denominarsi poiché è qui che si trova la grande struttura ospedaliera di “Pediatria oncologica” che accoglie bambini provenienti da varie parti del mondo e, in particolare, dall’Italia. Ho conosciuto io stesso numerose persone le quali hanno cercato in ospedali esteri cure che in Italia non avevano dato loro alcuna speranza. Quasi tutti sono tornati al paese dentro una bara, come il quindicenne Antonio,  struggente protagonista di questo libro doloroso quanto epico. In quell’ospedale “Robert Debré” (quasi come in un’ultima spiaggia) gran parte dei bambini diventano “Angeli” nonostante gli sforzi della scienza e lo stakanovismo  e la bravura di medici e paramedici così come dell’intero baluardo sanitario.

foto_aerea-ospedale-pediatrico-robert-debr_-e-dintorni-parigiAntonio, il terzogenito di Leonardo Mastìa, poco dopo aver compiuto dieci anni accusa vari dolori e al Cardarelli di Napoli (l’ospedale più grande e discusso del meridione italiano) gli viene diagnosticato un tumore al cervello. Viene operato, ma la malattia non molla questo bambino pieno di vitalità e di interessi tipici della sua età.  Dopo quasi quattro anni di accertamenti, diagnosi e cure, effettuate pure a Roma, le condizioni di Antonio non sembrano migliorare. Così i suoi genitori decidono di portarlo in tale ospedale pediatrico parigino che gode di una buona fama. E’, questo, uno dei tantissimi esempi di “emigrazione sanitaria” che un paese sedicente civile  come l’Italia (persino  appartenente ai G 7 o sette grandi Stati della Terra) dovrebbe eliminare del tutto … pure perché i protocolli sanitari-scientifici sono più o meno i medesimi in ogni parte del mondo. E fa molta impressione quando sappiamo dalla stampa e dalla TV che pure alcune alte personalità (industriali, politici, prelati e altri ricchi VIP di ogni settore socio-economico) ricorrono all’estero per trovare cure risolutive ai loro problemi di salute! Eppure siamo tra i 7 Grandi!…

foto-leonardo-mastiaIL VIALE DEGLI ANGELI inizia il racconto proprio il 12 agosto 1994,  primo giorno di ricovero del piccolo Antonio a Parigi,  e finisce praticamente il 21 maggio 1995  quando Antonio diventa un Angelo e torna nella sua Napoli tra la sua gente. Sono 31 i capitoli dedicati al calvario di Antonio e della sua famiglia (tutta sempre raccolta attorno a lui) nell’ospedale parigino per 9 lunghissimi  mesi. L’ultimo capitolo (il 32°) coglie Leonardo Mastia più tranquillizzato, a dieci anni dalla perdita del suo adorato figlio, e l’ultima brevissima frase “Ora sto bene” posta proprio alla fine della sua  autobiografia dolorosa  sembra essere messa lì, alla conclusione del libro, più per  tranquillizzare il lettore, il quale però (come è accaduto a me) non può crederci, viste e considerate pure le intensissime pagine precedenti. Ma, a volte, è necessario credere alle buone intenzioni delle bugie!

copertina-nebbie-libro-di-leonardo-mastiaInfatti, Leonardo Mastìa, nel suo secondo libro “Nebbie” (Nicola Pesce editore – Eboli, gennaio 2017) continua a narrare il suo lutto trasferendolo in quello degli altri, specialmente in quello delle famiglie che hanno perso e continuano a perdere vecchie e giovani vite (specialmente di bambini) per malattie cancerogene causate dal forte inquinamento ambientale, in particolare nelle cosiddette “Terre dei fuochi” (Campania e dintorni) dove sono state smaltite e interrate dalla criminalità organizzata enormi quantità di rifiuti d’ogni genere (in gran parte provenienti dalle industrie del nord Italia e persino dall’estero) e dove tanti altri rifiuti vengono dati alle fiamme (da qui “Terre dei fuochi”) pure per nascondere provenienza e pericolosità oppure per semplice sciatteria, pigrizia, maleducazione e inciviltà.

Per un motivo o per un altro, è sempre il sud Italia che paga così atrocemente la sua sudditanza ai cosiddetti Poteri Forti (Stato compreso che non può non sapere, avendo per legge il controllo del territorio). E’, questo, uno dei tanti aspetti che mi convincono sempre di più del “Suicidio del Sud” già argomentato nel lontano 1977, cioè quaranta anni fa, nella mia tesi di laurea. Ma chi dovrebbe avere orecchie e cuore per ascoltare  e intervenire decisamente non ha né orecchie né cuore!

Con questi due libri (“Viale degli angeli” e “Nebbie”) l’avvocato calabro-campano  Leonardo Mastìa si è assunto un ben preciso ed utile impegno sociale pure per spronare istituzioni ed opinione pubblica ad adoperarsi con più attenzione per difendere e valorizzare al massimo possibile la salute individuale e collettiva. E lo fa presentando casi veri e sofferti e in modo tale da indicare ognuno di noi come possibili o probabili o certe prossime vittime di una natura e di un sistema che non perdona nessuno, specialmente se siamo noi i primi a non contrastare i “mostri” dei nostri tempi. Una lotta epica ed epocale, dunque. Un’epica esistenziale ripiena di “pietas” e di “empatia”,  di “condivisione” e di “compassione” tanto da “somatizzare” la sofferenza altrui facendola propria. L’epica del coraggio anche civile, principalmente, nel combattere il “Male” assoluto come pure quello periferico e quotidiano. L’epica dell’incondizionato altruismo. Senza nulla chiedere!

Ho percepito il libro “Il viale degli angeli” come una nuova Iliade omerica 2.0 per due motivi. Il primo perché la città di Troia assediata potrebbe simboleggiare la nostra società aggredita da innumerevoli pericoli e dai “mostri”  nostri contemporanei (malattie, guerre, terrorismo, corruzione, mafie, disastri ambientali, prepotenze, ecc.), mentre il piccolo Antonio Mastìa potrebbe rievocarci l’onesto Ettore che cade da splendido eroe ma vittima di questa potente aggressione esterna. Sta a tutti noi evitare che la furbizia di un Ulisse qualsiasi, con il suo cavallo di Troia, entri ed espugni la nostra Città con un facile inganno.

 Il secondo motivo è dovuto al genere di scrittura che Leonardo  Mastìa usa. Un vero capolavoro, credimi Tito!… Dopo ogni frase (anche piccola o brevemente aggregata ad altre brevissime, con il senso compiuto, nel concetto o nelle immagini) l’Autore va a capo e permette al lettore di dosare meglio la sua attenzione, le sue pause, il suo impegno, la sua energia. Persino il suo respiro. Ho trovato ciò assai rispettoso verso la propria narrazione e verso il lettore; ma anche efficace poiché permette di gestire adeguatamente  le sempre intense  emozioni e le riflessioni, senza paragrafi lunghi (che caratterizzano solitamente quasi tutti i libri, in particolare la narrativa). Mi sembra che egli abbia una scrittura poetica e lirica (“omerica” in una parola) pur servendosi della prosa. E, quindi, non poteva presentare paragrafi troppo lunghi (tipici della prosa più discorsiva) ma piccole frasi come veri e propri versi epici. E, come Omèro, usa spesso le similitudini tipiche dell’Iliade e dell’Odissea (sarà perché ha fatto studi classici o perché proviene da una Calabria Magna Grecia epica e classicheggiante che Mastìa ha assimilato automaticamente per averla respirata  fin dall’infanzia).

Ed epici sono i contenuti del libro, proprio come nei poemi di Omèro, di Virgilio o di altri grandi scrittori che abbiano voluto mettere al centro del loro racconto un Eroe. Qui l’Eroe è il figlioletto Antonio che combatte tenacemente la malattia (questo mostro grande e grosso  e spietato come un esercito invasore), aiutato da alleati generosi (come la famiglia e la scienza espressa nelle strutture sanitarie). Gli dei non intervengono, però, come nei poemi classici. Forse non ci sono o forse stanno a guardare, nonostante le tantissime preghiere, le suppliche di una intera comunità.  Gli dei di questo poema di Mastìa non sono quelli mitologici che sanno interloquire con gli eroi, ma (se ci sono) restano enigmatici, senza alcuna risposta per un mondo che – si presume – sia stato così fatto da loro e deve essere accettato per “fede” e senza ribellioni.

Si leggano, quindi,  con più attenzione le pagine  280-281 e si noti a riguardo un’altra epica figura, quella del parroco don Franco il quale tuona pubblicamente al cospetto del suo Dio per l’ingiusta morte dei bambini,  come il figlio dell’Autore. Ma alla pagina 293 assistiamo ad un episodio che riguarda lo stesso parroco don Franco e il suo dio vendicativo. Roba da rabbrividire, come quando il dio di Abramo comanda a costui di uccidere il figlioletto oppure accetta la morte del proprio figlio Gesù. Ed accetta altresì che venga versato il sangue di migliaia di animali in suo sacrificio. Perché insistiamo ancora a servirci delle religioni mediorientali così bramose di sangue? … Posso aggiungere questo ennesimo inquietante, atroce interrogativo ai tanti che affollano le pagine di Leonardo Mastìa o che emergono durante la nostra stessa lettura tra le righe?…

paese-di-campana-cs-scorcio-centro-storicoNon essendo un “critico letterario” non so dirti, caro Tito, se Leonardo Mastìa sia veramente  uno scrittore (né tanto meno epico) secondo i parametri in uso. Ti assicuro che non m’interessa affatto il suo valore letterario, ma quello (assai poderoso) umano e sociale. E’ importante il suo messaggio, la sua storia. Però, di sicuro, ha trattato un tema sicuramente epico, quello della lotta degli esseri umani contro i mostri delle malattie e delle ingiustizie. Per me personalmente è, comunque,  uno scrittore di grande efficacia oltre che di particolare coraggio e dignità nel  raccontare il calvario del figlioletto (simbolo di Gesù  crocifisso) e la fedeltà assoluta della sua famiglia che cerca di evitare forsennatamente il Golgota, l’estremo sacrificio di un’anima innocente. Come per la Passione di Gesù (innocente Agnello di Dio), la Passione di Antonio appare ed è in effetti altamente drammatica e tragica, pure per i suoi significati generali e anche per i personaggi che ruotano attorno a questo piccolo-grande Eroe esistenziale. E tutti questi personaggi diventano “eroi”  (a loro volta) soprattutto perché condividono il Calvario e lottano perché il Calvario resti ancora lontano e muto. Inesistente! E’ ora di capovolgere l’attuale imperante filosofia del mondo!

Uno dei maggiori meriti di Leonardo Mastìa è quello che, di fronte ad una immane tragedia familiare, non ha scelto il silenzio come quasi tutti coloro i quali (e sono veramente tanti, troppi)  hanno vissuto qualcosa di simile che paralizza l’anima. Non è affatto  facile (né emotivamente né socialmente) scrivere il proprio e l’altrui dramma, pure perché scrivendo si rivive e si rinnova la sofferenza, in tutti i suoi picchi e in tutte le sue sfumature.  Si rischia, tra tanto altro, di apparire “masochisti” mentre invece tale scrittura è un gesto di alto e definitivo altruismo, oltre che una catarsi per se stesso e per tutta l’Umanità sofferente.

Infatti, al di là di ogni altra considerazione (più o meno pertinente), il libro di Mastìa “Il viale degli angeli” è, secondo me, un autentico “capolavoro umano” non soltanto per i valori che presenta, per la dolorosa storia che descrive, per lo stile asciutto (benché espresso in prosa poetica, energica ed epica), per tutte le emozioni e gli insegnamenti che contiene … ma anche perché, pur non avendone magari le intenzioni, tende a migliorare il mondo e, in particolare, l’animo umano. E’ stato (almeno per me) uno dei libri migliori, più impegnativi e più coinvolgenti che io abbia mai letto nella mia vita. Ed anche per questo lo segnalo  in modo assai convinto e deciso.

Pure per i suddetti miei convincimenti, ne consiglio la lettura a tutti, poiché tutti se ne possono giovare grandemente come una pietra miliare del proprio percorso esistenziale. E, poiché la tiratura della prima pubblicazione è praticamente esaurita (spero che l’Autore riesca a mandare almeno una delle copie residue alla Biblioteca Calabrese di Soriano Calabro e una alla Biblioteca Nazionale di Parigi), mi auguro proprio tanto che ci sia una seconda edizione, anche ad uso delle scuole, delle parrocchie e delle famiglie, nonché di quei centri formativi deputati alla pedagogia individuale e sociale.

braccialetti-rossi-3-su-rai-unoSarebbe ancora meglio, inoltre, che si faccia un film  (una coproduzione italo-francese?) di questa toccante storia affinché il giovamento possa essere il più diffuso possibile, non soltanto in Italia, dove esiste già una serie televisiva che, intitolata “Braccialetti rossi” su Rai Uno, racconta proprio di un reparto di oncologia pediatrica ed è basata sullo scritto autobiografico di Albert Espinosa. Ma io vedrei ancora più efficace una trasposizione di tale storia in arte teatrale, dove sarebbe possibile una maggiore e migliore riflessione sui grandi temi della vita e della morte, contornati dai tantissimi “Perché?” che emergono dalle pagine dolorose di Mastìa. Un Mastìa filosofo umanista in tutto e per tutto!

foto-mani-braccialetti-rossiUna qualsiasi cosa ha valore se ci rende migliori. Sicuramente l’Opera di Mastìa ci può rendere migliori, a condizione che vogliamo interiorizzare e fare nostri gli insegnamenti e gli altri contenuti ….  altrimenti persino il più grande e meritorio capolavoro farà la fine del Vangelo del “Cristo inutile” o degli altri celebri libri che (pur non mandati al rogo) vengono ignorati o disattesi anche se (è provato) umanizzano  la nostra società e il nostro animo. Oggi come oggi, il libro di Mastìa può contribuire in modo significativo ad opporci alle atrocità logiche ed illogiche dell’esistenza e della società. Poiché, oggi come oggi, di questo si tratta (ancora di più che in passato): combattere la maggior virulenza delle sopraffazioni d’ogni tipo, innate e sociali e spendere per la ricerca sanitaria risorse impiegate molto male o sprecate o addirittura usate contro l’Umanità.. Ne va non soltanto della nostra salute personale e sociale ma anche della salute della Terra!

Un’annotazione tutta calabrese. Nel capitolo 20 c’è un riferimento all’arcinoto ”fratel Cosimo” (quello di Santa Domenica di Placanica, RC) il quale nel santuario della Madonna dello Scoglio  pare che operi miracoli e salvifiche aspettative. Alla pagina 170 del libro è indicato come “fratel Giulio”. La descrizione che ne fa Leonardo Mastìa è quella tante volte ascoltata dalla voce di  testimoni diretti (familiari ed amici miei) o da resoconti giornalistici e televisivi. Più di una famiglia molisana (sapendomi calabrese) mi ha chiesto come poter incontrare “fratel Cosimo”.Pure queste famiglie, che lo hanno incontrato alla Madonna dello Scoglio di Placanica,  mi hanno descritto più o meno i medesimi fatti e commenti riportati da Mastìa.

 La nostra Calabria resta (fin dalla più remota antichità, nonostante tutto e tutti)  pur sempre assai ricca di eremiti, mistici, santi e santoni, guaritori e sublimatori, veggenti e carismatici. E sicuramente avrà ragione il filosofo jonico-andreolese Salvatore Mongiardo di Soverato (nostro contemporaneo) nell’affermare che dalla Calabria potrebbero sorgere le risposte che il mondo cerca, ricchissima com’è da sempre di un patrimonio e di un giacimento culturale e spirituale finora troppo misconosciuto. Leonardo Mastìa lascia intendere che, quantunque sia lontano dalla sua regione natìa, percepisce un simile retroterra ancora nascosto ai più. E, personalmente, ritengo che questo Autore neo-omerico (epico e lungimirante nello stesso tempo) abbia toccato temi e tasti umani e spirituali talmente importanti da necessitare di ulteriori approfondimenti. Ne ha le giuste visioni. Grazie e cordialità!

Domenico Lanciano                                                                                                                                                                     Azzurro Infinito, domenica 26  giugno 2017  ore  18,23

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