Piena di omissis appare la fase successiva alla creazione dello stato unitario che, per molto tempo, ha risolto il brigantaggio liquidandolo frettolosamente ora tra le pieghe ora tra le piaghe della storia. Considerato l’ “Anticristo” dell’Unità di Italia o tinteggiato ad arte con la tavolozza della leggenda, il brigante ha segnato le controverse vicende rivoluzionarie della seconda meta dell’ ‘800 battezzando con il proprio sangue la neonata Italia.

A correggere le lacune e gli errori commessi dalla propaganda fedele al regime savoiardo, senza comunque voler giustificare gli orrori commessi dai ribelli o esaltarne le gesta, è intervenuto una sorta di revisionismo storico discordante dalla storiografia ufficiale lungamente tramandata (dai vincitori).

Di questo si è trattato nel corso del convegno “Banditi e Briganti, nella storia d’Itala tra rivolta criminale e questione sociale” che, tenutosi nei al museo Pietrorotta di Guardavalle e moderato dal giornalista Rai Pietro Melia, ha ricevuto l’autorevole contributo di Enzo Ciconte, docente di storia della criminalità organizzata all’università Roma Tre.L’iniziativa ricade nell’edizione “La vita inaspettata” del progetto Gutemberg, condiviso anche dall’istituto Comprensivo Aldo Moro che, da tempo, valorizza la propria offerta formativa con l’approfondimento di tematiche storiche ed attuali veicolate dalla lettura dei testi e dal racconto live degli autori. Ad introdurre il dirigente scolastico Alfredo Lancellotti che ha indicato «nella messa a fuoco dei problemi della nostra contemporaneità e delle loro implicazioni» le finalità del progetto. «Gli studenti di questo istituto – ha sottolineato – con l’aiuto dei docenti hanno affrontato il testo di Ciconte approfondendone la componente calabrese. Abbiamo aderito a questo progetto perché il nostro paese necessita di cultura per superare quel livello che rischia di diventare o rimanere mediocre». Ha preso parte al dibattito Domenico Romeo, della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, che, dopo aver riconosciuto al libro di Ciconte il merito di aver sfatato il falso storico volto a localizzare esclusivamente nel meridione la reazione contadina che invece “unì” l’Italia molto di più di quanto non avesse realmente fatto il moto risorgimentale, si è soffermato sulle “quote rosa” presenti nel fenomeno. Numerose furono le brigantesse, spesso più determinate e sanguinarie dei colleghi. Attraverso le parole di Ciconte, infine, che ha presentato il suo “Banditi e Briganti”, la platea ha potuto sviscerare le diverse sfaccettature caratterizzanti la resistenza al potere regio piemontese, peraltro non sempre armata e non solo contadina. Una lente non più fuorviante ed oleografica ma realmente storiografica quella utilizzata da Ciconte, che sfata il cliché del brigante-criminale rivelando come l’etichetta delinquenziale, in realtà, rappresentasse il male minore, un valido espediente per l’incapacità di affrontare quello maggiore.

Uno stato ancora lontano da un’effettiva unità civile che, peraltro, non collimava affatto con gli interessi della classe dirigente.

Gazzetta del Sud – Angela Vetrano

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