“Le torri del silenzio”: è il titolo della nuova raccolta di liriche di Maria Grazia Bajoni, pubblicata nei giorni scorsi dalle Edizioni Ursini di Catanzaro. Dopo aver insegnato per più di 25 anni Lingua latina all’Università Cattolica di Milano e pubblicato decine di articoli di filologia classica, Bajoni è ora impegnata in una approfondita ricerca sulle istituzioni e sul linguaggio della diplomazia nel tardo impero romano presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales a Parigi L’interesse per la tarda antichità è anche alla base del suo saggio “Les grammairiens lascifs. La grammaire à la fin de l’Empire romain”, pubblicato sempre a Parigi da Les Belles Lettres. Bajoni è comunque anche un’apprezzata poetessa e scrittrice. Fra le sue pubblicazioni di carattere letterario si ricordano la raccolta di poesie Composizione in grigio per Nicolas de Staël, due romanzi per bambini, Il ragazzo del Mare Tenebroso e Principe di Palaedo e il racconto storico Il pane bianco.

 

Ora, questo nuovo libro, con le edizioni Ursini, che racchiude la sua produzione poetica degli anni 2007-2011.

 

Se, come ha scritto Arthur Schopenhauer, “solo il presente è vero e reale: costituisce il tempo realmente pieno, ed è solo in esso che si svolge la nostra vita”, è altrettanto vero che dal passato raccogliamo esperienze e saggezza e che il tutto cerchiamo di trasbordare nel futuro allo scopo di renderlo il più possibile piacevole, gratificante.

 

Da tale considerazione nasce e si sviluppa anche il percorso scritturale che Maria Grazia Bajoni ha messo in luce in questa accurata e intensa raccolta di poesie: un compendio di cultura e di profondità storica e psicologica che accomuna smarrimenti e attese, silenzi e tragitti fin dentro l’io allo scopo, evidente, di armonizzare il discorso su un pentagramma di note legate al mito, al tentativo di strappare alla palude della quotidianità i segni di una calda ebbrezza di sentimenti e di allestire, se possibile, una coltre di profumi non inquinati per non sciupare “i nostri brevi millenni”.

 

C’è un evidente gioco ad intarsio, in quanto il passare da una lettura attenta del proprio io e del relativo diario (esemplari, al riguardo, gli autoritratti in cui dice, tra l’altro, : “ho invidiato della cicala lo stridulo riso / confuso al sussurro degli ulivi / e la sua morte alla fine dell’estate”) ad uno strizzare l’occhio alle rotaie della ferrovia, alle erbe tenaci che occultano, in qualche modo, “il feroce piacere / del gatto che si trastulla dilaniando la preda”, nutre di una bellezza espressiva esemplare ogni quadretto poetico, ogni accelerazione ed ogni successiva genuflessione di fronte all’ineluttabilità della morte, alla chiusura di un ciclo d’amore e di partecipazione ai perché del vivere, del soffrire e del gioire magari per poco.

 

Maria Grazia Bajoni ha il dono dell’immediatezza, del dare profondità ai paesaggi dell’anima, al perpetuarsi di un’immagine docile, smagliante od orfana di luce. Non soggiace mai alla solitudine fine a se stessa, ma anche dalla solitudine, che sovente compenetra di sé il respiro del tempo, sa cogliere vaporosi alfabeti e canti che si nutrono di pazienza, di sguardi assorti, “nel cielo di Chagall”.

 

La sua poesia, stimolante e acuta, conferma il fatto che la storia del nostro tempo è una corsa col tempo e al di là del tempo, che incapsula il tutto e il nulla, essenze ed assenze, verità e capacità profetiche. E’ un rifugiarsi, il suo, in un silenzio ciarliero, sospeso su un canovaccio di luce e d’armonia, che consente di affrontare comunque la vita così com’è. Come dire che la poesia di Maria Grazia Bajoni sa trovare, in questo libro inserito dalle edizioni Ursini nella collaudata collana “Le farfalle”, occasioni concrete per cementare incontri e per ampliare l’orizzonte dell’io e la forza dei suoi sentimenti.

 

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