cambiamo messina dal bassoIeri pomeriggio si è celebrato l’ennesimo atto di autosfiducia e di autodelegittimazione di gran parte del Consiglio Comunale messinese. Fin dalle elezioni amministrative del 2013 l’Aula consiliare lavora a mezzo regime, con la presenza ondivaga dei consiglieri che spessissimo si aggira attorno alla metà del totale. Succede pertanto che una città che ha quaranta eletti chiamati a decidere delle sue sorti si trovi ad averne operativi di fatto solo una ventina. Così è stato anche ieri quando si è votata la delibera per l’approvazione del Regolamento sugli istituti di partecipazione proposta da Lucy Fenech, consigliera del gruppo CMdB – Renato Accorinti sindaco. Poteva essere un momento storico per Messina, perché finalmente avrebbe avuto

attuazione quello che è scritto nello Statuto Comunale, nella legge  nazionale e nella stessa Costituzione. Anche Messina, come piccoli e grandi comuni d’Italia, si sarebbe dotata degli istituti di partecipazione popolare. Invece è stata l’ennesima pagina nera di una storia politica locale popolata da invisibili burattinai che dispongono e da istrioniche maschere pronte ad eseguire. Qualcuno doveva aver deciso che boicottare l’iniziativa della Fenech fosse al di sopra degli interessi di un’intera collettività, forse per uno sgarbo o per una ripicca legata allo scandalo di Gettonopoli, forse più plausibilmente perché in molti, in troppi, credono che fare opposizione significhi distruggere l’avversario, e non affrontarlo dialetticamente sul piano delle idee.

A fronte di nove voti favorevoli, fra cui le tre consigliere del gruppo CMdB (Rella e pochi altri sono arrivati a votazione appena conclusa e non hanno potuto partecipare), ci sono stati tredici astenuti e un voto contrario. Nove consiglieri a favore della partecipazione popolare, tutti gli altri contro.

Un caso analogo a quello di ieri era avvenuto quando dalla stessa Fenech era stata presentata in Aula la proposta, poi bocciata, di devolvere il gettone di presenza a sostegno del Birrificio Messina: anche allora si era parlato di “sgarbo”. Sarebbe forse il caso invece che si cominciasse a parlare di “indegnità” e che i consiglieri latitanti, i consiglieri più interessati al gettone che all’onesto dibattito politico, i consiglieri ragionevoli ma supinamente piegati agli ordini di scuderia riflettessero sul senso della loro permanenza in Consiglio e considerassero l’idea di cedere il posto ai primi dei non eletti. Potremmo essere, tutti, più fortunati.

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