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Nota del Direttore – Per un involontario disguido, la “Lettere a Tito n. 188” che segue viene pubblicata adesso, in ritardo di qualche settimana, con le scuse per l’autore, con l’interessato Salvatore Mongiardo e con i lettori.

Caro Tito, sono in grado di proporti, in anteprima, la lettura del testo su cui il filosofo calabrese Salvatore Mongiardo (residente in Soverato ma nativo di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, scolarca della Nuova Scuola Pitagorica di Crotone) baserà la sua conferenza al “Meeting Terra e Salute” che avrò luogo dall’imminente 30 settembre al 01 ottobre 2017 nella Sila catanzarese di Taverna e di Villaggio Mancuso.

 Spero tanto che i nostri lettori possano trarre maggiore motivo di orgoglio e di migliore consapevolezza della propria identità per un vero e proprio “Rinascimento della Calabria e dell’Italia”. Cordialità,

 Domenico Lanciano Azzurro Infinito martedì 26 settembre 2017 ore 11,55

L’identità italico-pitagorica come fonte di energia e rinnovamento

di Salvatore Mongiardo

Lo scopo di questa conferenza è mettere in luce i caratteri fondamentali della cultu-ra italico-pitagorica come fu elaborata da Pitagora intorno al 500 a. Cristo, cultura che, come vedremo più avanti, è impropriamente chiamata magnogreca.

Inizio con la fiaba del pastorello che conduceva una vita stentata pascolando le pe-core. Un giorno si avvicinò a lui un viandante, che gli spiegò che in realtà non era figlio di pastori, ma primogenito del re ucciso dai suoi nemici quando lui era bam-bino. Servi fedeli lo avevano messo in salvo e affidato ai pastori. Il viandante gli annunciò che gli amici del padre ucciso avevano preso il sopravvento e presto sa-rebbero venuti a cercarlo per metterlo sul trono. Il pastorello prese allora coscienza della sua vera identità, acquistò forza e coraggio e, salito al trono, fu un re forte e saggio. Questa fiaba indica come la coscienza della vera identità possa essere fonte di energia per una nuova vita.

pitagora-volto-in-marmoVediamo ora chi erano e come vivevano gli Itali, il popolo forse più degno, ma an-che più misconosciuto dalla storiografia ufficiale. Noi siamo fortunatamente in grado, seguendo le indicazioni degli storici antichi, di spiegare come vivevano gli abitanti di quella terra che prese il nome da re Italo.

Aristotele nella sua Politica (libro 7, capitolo 10) afferma che Italia era la terra compresa tra i golfi di Squillace e Lamezia, che un viaggiatore percorreva in mezza giornata di cammino. Italo era uno degli Enotri, produttori di vino e allevatori, che egli convertì dall’allevamento degli animali alla coltivazione della terra. E fondò l’Italia sul Sissizio, il banchetto comune, che si teneva dopo il raccolto del grano diviso in parti uguali.

Abbiamo così individuato alcuni elementi fondanti della cultura dell’Italia originaria che, dal nucleo iniziale compreso tra Squillace e Lamezia, si era estesa fino a Reggio e a Crotone, chiamata appunto Crotone d’Italia.

Per capire però come si era formata la cultura italica, dobbiamo fare un salto indie-tro di vari millenni. Difatti gli Itali,e prima ancora i popoli che li precedettero, vis-sero in controtendenza rispetto sia all’Europa continentale che al Medio Oriente. Per esempio, le pianure oggi ucraine, che erano coltivate a grano, furono invase da guerrieri allevatori di cavalli, che imposero il dominio dei maschi alle popolazioni basate sull’agricoltura e governate pacificamente dalle donne gilaniche.

La stessa cosa avvenne nel Medio Oriente, dove gli ebrei, guerrieri pastori di peco-re, conquistarono il territorio della Mezzaluna Fertile imponendo il governo dei maschi e abolendo finanche le divinità femminili nella religione.

Tanto per capirci con un esempio, nello stesso periodo che re Italo fondava l’Italia sul Sissizio, indicativamente il 2000 a. C., in Israele Abramo alzava il coltello per uccidere l’innocente figlio Isacco, scambiato poi come vittima con il montone, non meno innocente del figlio.

L’abbandono dell’allevamento animale per l’agricoltura è durato millenni e fu rias-sunto nella figura di re Italo. Quel cambiamento era stato possibile grazie al territo-rio ricco di acque, montagne, nevi, colline, pianure, fiumi e fiumare, vegetazione e alberi di ogni genere. Inoltre, la vicinanza dei due mari Jonio e Tirreno con lo scambio continuo di venti e temperatura, favoriva la fruttificazione tutto l’anno. I venti dell’est e soprattutto dell’ovest attraversano ancora oggi la Gola di Marcellina-ra nel punto più stretto dell’Italia, circa trenta km. Questo fenomeno atmosferico, che meriterebbe uno studio approfondito, molto probabilmente sta alla base dell’e-voluzione del nostro territorio tanto che potremmo dire che l’Italia è figlia del buon vento.

La particolarità del vento è sfuggita agli storici, ma era chiara al cieco Omero che parla di Scheria, la terra e non l’isola dei Feaci. Secondo i più recenti studi del professor Armin Wolff dell’Università di Heidelberg, Scheria si trovava a poca di-stanza da Catanzaro nel territorio del comune di Tiriolo.

Dice difatti Omero che in quella terra i Feaci, governati da re Alcinoo,vivevano in un luogo ameno e prospero poiché…

D’ogni stagione un zeffiretto spira

Che mentre spunta un frutto l’altro matura (Odissea, libro 7).

Un altro testimone d’indubbia fede, Cassiodoro, in una lettera a Severo scritta in-torno al 500 d. C.,così descriveva il territorio di Squillace:

I tordi canori amano stare insieme a gruppi molto densi. Gli striduli storni volano senza soste a eserciti interi. I colombi tubando preferiscono le proprie corti … Ci sono coloni a coltivare sempre i campi. Le granaglie lussureggiano in abbondanza; l’olio ne accompagna il piacere con non minore larghezza. Le pianure allietano con la fecondità dei pascoli e con la promessa della vendemmia … Quando altrove la stagione è più calda, là tra i boschi è primavera, gli animali non soffrono per la molestia delle mosche e possono brucare a sazietà erba sempre verde. Dalle cime dei monti si vedono scendere acque limpidissime scaturite di getto come sulle Alpi. Occorre aggiungere che la regione ha due litorali con spiagge lunghissime, animate da commerci sempre in movimento, in maniera di non mancare mai dei frutti propri e nemmeno dei prodotti stranieri, date le vicinanze costiere. Là i contadini godono di mense come i cittadini, tanto che neppure i meno agiati ne restano privi!

colonna-di-crotoneCassiodoro, che ben conosceva l’Italia, le coste della Dalmazia e Costantinopoli, scriveva inoltre che sulle rive dello Jonio c’era una lux perspicua, una chiara lumi-nosità che rasserenava l’anima e apriva la mente. Italia quindi non solo come terra che nutre di frutti tutto l’anno, ma anche provvida di luce serena per l’anima.

Chi nell’antichità comprese a fondo gli Itali fu Pitagora, che aveva viaggiato per decenni tra Grecia, Italia, Libano, Egitto, Siria, Israele, Mesopotamia e poteva quindi fare ampi confronti. Pitagora aveva inoltre la capacità, che gli Itali non ave-vano, di elaborare e razionalizzare quanto vedeva in termini logici e matematici. Egli, cioè, comprese di aver trovato un tesoro presso gli Itali, lo colse e l’offrì all’umanità. Gli Itali, come i nativi americani i quali possedevano l’oro come una cosa normale, vivevano secondo principi etici che Pitagora giudicò preziosi e sinte-tizzò in cinque:

1. Libertà (Eleuterìa) è un bisogno insopprimibile di ogni persona. Se togli la libertà, prevarranno criminalità e degrado. Gli Itali vivevano liberi e non avevano schiavi. Questa libertà attirava i Bruzi, gli schiavi pastori della Lu-cania, che fuggivano verso l’Italia e acquistavano la libertà sposando una donna italica.

2. Amicizia (Filìa) di tutti con tutti: con Dio, vicini, familiari, lontani, addirit-tura nemici, col proprio corpo e le pulsioni in esso contrastanti, e finanche con gli animali che condividono il principio vitale con l’uomo il quale deve proteggerli come fratelli minori. Lo spirito d’amicizia che regnava tra gli Itali è rimarcato da Aristotele.

3. Comunità (Koinonìa) di vita e di beni. Se si vive in amicizia, l’amico è un altro te stesso e non c’è più il tuo e il mio, non si è mai soli, non si ha paura di non farcela, la comunità pensa a ognuno in vita e in morte. Il Sissizio è il sigillo di garanzia della vita comune degli Itali. Come corollario della vita comunitaria, nasceva la proibizione pitagorica della competizione. Compe-tere rompeva la comunità e rendeva la vita come una corsa affannosa. La vittoria sporca l’individuo, affermava Pitagora, perché lo separa dagli altri e lo rende oggetto d’invidia. Chi vuol vincere, anche se non lo fa per soldi, è comunque corrotto nell’anima.

4. Donna (Gine) ha maggiore dignità del maschio perché è depositaria natu-rale della giustezza: fa sempre parti uguali tra tutti i figli, sia maschi che femmine. Per questa sua qualità lei è più degna dei maschi di offrire alle di-vinità focacce e corone di fiori fatte con le sue mani.

5. Pane (Artos) è il tuo cibo. Non carne ma pane, non sangue ma vino. Ogni sera, dopo la cena, Pitagora celebrava con allievi e allieve il Sissizio con pane e vino dolce per riassumere quei principi etici. L’alimentazione vegeta-riana che escludeva carne e pesci – non uova o latte – era il precetto fonda-mentale del pitagorismo. Se non osi uccidere l’animale, mai ucciderai un uomo. La pace è una consuetudine che nasce dal rispetto della vita dell’a-nimale.

Pitagora andò oltre e fece l’offerta del Bue di Pane agli Dei per la scoperta del suo famoso Teorema. Gli Itali facevano il Bue di Pane col primo grano raccolto per ringraziare il bue aratore. Pitagora elevò quel dono spontaneo degli Itali a potente simbolo razionale per uscire dalla violenza.

I contemporanei di Pitagora capirono la grandezza del suo messaggio e molti furono gli allievi che accorsero alla sua Scuola di Crotone anche dalla lontana Cartagine. Lo stile di vita pitagorico ebbe rapida diffusione nelle polis dell’o-dierna Calabria tanto che in breve quel territorio, prima ritenuto di poco conto, si popolò di filosofi e legislatori e per ammirazione fu chiamato Grande o Ma-gna Grecia: di essa Pitagora fu il fondatore e Crotone la capitale.

Quando noi pensiamo alla Magna Grecia, rivediamo i templi di Crotone, Pae-stum, Locri, le donne avvolte nei pepli, i guerrieri in armi … In realtà questa cornice magno greca coincide con Pitagora come tempo, ma è esterna alla dot-trina pitagorica per la grandezza della quale fu coniata la stessa parola magno-greca. Anzi, quella dottrina all’epoca fu ritenuta sovversiva dalle classi al potere nelle polis, e non senza motivo.

Difatti, Pitagora aborriva i sacrifici di sangue, atto ufficiale di culto delle polis stesse. In particolare a Crotone, a pochissima distanza dalla sua Scuola, si scan-navano in continuazione animali in offerta a Hera Lacinia. I pitagorici, che in vesti di lino bianco offrivano focacce e fiori alle divinità, erano in evidente con-trasto col culto ufficiale consolidato.

Pitagora, inoltre, per fare le offerte sostituiva i sacerdoti del tempio con le don-ne di casa sua, la moglie Teano e le figlie Damo e Muià. Questo non garbava alla potente classe sacerdotale di Crotone.

Pitagora liberava gli schiavi, e alcuni ceppi di piombo loro tolti sono ancora conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Crotone. I padroni degli schiavi, però, non erano contenti …

Egli metteva la donna al primo posto nelle polis,le quali vivevano secondo la tradizione greca, essenzialmente maschilista e guerriera, con le donne chiuse nel gineceo, la parte della casa loro riservata.

Insomma, la sua dottrina contraddiceva ogni culto o autorità in contrasto col suo Pentalogo Pitagorico, come ho definito per chiarezza i cinque principi su esposti: libertà, amicizia, comunità, donna, pane.

La rovina della Scuola arrivò con la rivolta di Cilone, appoggiato da tutte le classi dominanti di Crotone. Molti pitagorici furono uccisi e Pitagora si salvò a stento, trovando alla fine rifugio a Metaponto. Tutto sembrava perduto, ma fu invece come un vento, che portò i semi della cultura italico-pitagorica in tutto quello che fu poi l’impero di Roma. Quei semi arrivarono fino a Israele e Ales-sandria d’Egitto, dove Esseni e Terapeuti, i pitagorici del mondo ebraico, tra-smisero a Gesù la dottrina pitagorica. In effetti, i principi etici di Pitagora e quelli di Gesù sono identici, e nessuno si meravigliò quando Papa Eusebio di Cassano, oggi in provincia di Cosenza, nel 309 d. C. impose l’uso pitagorico del lino bianco su tutti gli altari cristiani.

Gli eventi della storia sono quasi sempre andati nella direzione opposta a quella predicata da Pitagora. E difatti, guardando senza preconcetti agli avvenimenti passati, vediamo un susseguirsi di stragi, guerre, miserie e angosce di ogni ge-nere: sembra una cavalcata nell’orrore. Se potessimo chiedere a Pitagora come mai sono accaduti tanti disastri, io credo che lui risponderebbe: Come volevasi dimostrare! Non avete vissuto secondo i miei insegnamenti!

I semi di quella cultura però non sono scomparsi, ma sono rimasti nella nostra terra che li ha preservati grazie alla sua decadenza, la quale è stata necessaria per custodire quel tesoro sotto le sue rovine. Da tempo ormai vado dicendo e scrivendo che siamo all’inizio di un nuovo ciclo, che tutto ricomincia da dove è iniziato, che da questa nostra terra di Calabria sta rispuntando la Civiltà Sissi-ziale che farà della Terra la casa comune di tutti i viventi.

Ringrazio voi tutti per avermi dato l’opportunità e la gioia di conoscerci. So-prattutto un sentito grazie al Dott. Rosario Amelio che mi ha invitato a questo bell’incontro che parla di Terra e Salute.

Termino come il viandante della fiaba che incontra il pastorello e oso dire a voi:

Care Amiche e cari Amici, sapete che noi siamo i discendenti della più nobile stirpe della storia umana? Sapete che siamo diventati gli ultimi solo per essere di nuovo i primi? Sapete che il destino ci chiama per dare al mondo quanto di più bello abbiamo, un’alta mente e un grande cuore?

Come corollario di questo nostro incontro, vi esorto a compilare una lista dei frutti, vegetali, cerali, funghi e quant’altro di commestibile o curativo nasce nel breve spazio di questa terra, che in pochi km si alza dal livello del mare fino ai mille metri. A me sembra che la fruttificazione tutto l’anno nella stessa terra sia un fenomeno raro se non unico il quale, se ben capito, indica la via del ritorno a questa terra dove tutto è iniziato e dove tutto può ricominciare col nostro buon volere e la nostra libera iniziativa.

Evoè!

Salvatore Mongiardo

Soverato di Calabria, 26 settembre 2017

 

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