NAVE ARARAT SBARCO A SOVERATO 27.12.1997Caro Tito, in occasione della recente “giornata del rifugiato” del 20 giugno 2015, la U.N.H.C.R. (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – www.unhcr.it e www.unhcr.org) ha stimato che nel mondo il popolo dei rifugiati ha avuto nel 2014 una consistenza di 60 milioni, quasi quanto il popolo italiano residente dentro i nostri confini nazionali (ben 4 milioni di rifugiati sono stati il doloroso e amaro frutto della sola guerra civile ancora in corso in Siria!). Purtroppo, quello dei rifugiati è un popolo in forte crescita ed è un “popolo senza nome”. Ed è, tra alti e bassi, un “popolo permanente” da millenni, da che mondo è mondo. Infatti, è sempre esistito e, purtroppo, sempre esisterà (almeno finché su questo nostro pianeta ci saranno guerre di sterminio e di conquista, persecuzioni, tiranni, calamità climatiche, malattie epidemiche, ecc. ecc.).

Fuga di Enea da Troia - statua di G.L. BerniniInfatti, gli eventi raccontati dai più grandi poemi antichi mediterranei l’Esodo (1436 a.C. circa), l’Iliade, l’Odissea e l’Eneide (1200-1100 a.C) ci ricordano di migrazioni di popoli causate da guerre e tirannie, carestie e altre calamità che hanno avuto luogo nell’attuale Medio Oriente (zona che, nel bene e nel male, ha generato le tre più importanti religioni monoteiste del mondo). A ciò bisognerebbe aggiungere le narrazioni delle varie “diaspore” (esilii, dispersioni) sofferte dal popolo ebraico specialmente dopo la cattività babilonese (700-600 circa a.C.) e dopo la distruzione del Tempio da parte dei Romani (70 d.C.). Tali Opere epiche ci sono giunte integre e in modo emblematico e rappresentativo a distanza di alcuni millenni proprio per la loro grande attualità, la loro simbologia e, sempre, per la loro drammaticità, a volte anche tragica come le nostre contemporanee e raccapriccianti migrazioni di massa. Però – ho accennato nelle precedenti lettere – come area di grandi esodi epocali attuali non c’è soltanto il Mediterraneo, bensì principalmente la frontiera verso il Nord America (USA in particolare) e quella del Sud-Est asiatico, ma anche altre frontiere che non hanno riflettori perché, lontane dai nostri interessi, non fanno notizia. Ci sono, infatti e purtroppo, anche i genocidi, i popoli e i migranti invisibili!

Nel numero del gennaio 1999, in prima pagina, il mensile agnonese L’Eco dell’Alto Molise (in occasione dell’assegnazione del “Premio Agnone Solidarietà” al Comune di Badolato per la solidale accoglienza ai profughi kurdi della nave Ararat del 26-27 dicembre 1997) ha pubblicato il mio articolo “Da Enea a Ocalan” in cui riflettevo come e quanto ci sia una continuità di quella “Umanità in fuga” che ha disseminato i continenti proprio perché sempre in diaspora per le minacce di morte e di sterminio subìte nel corso dei secoli in quasi tutte le aree geografiche. Nel caso specifico, Enea si era rifugiato in Italia (circa 1100 anni prima di Cristo) dopo la conquista e la distruzione della sua città, Troia, da parte dei conquistatori Greci di Ulisse così come negli anni novanta i Kurdi (di cui allora Ocalan era il capo carismatico) cercavano di sfuggire al tentato sterminio dei “tiranni” e “dittatori” di Irak, di Siria e di Turchia (Stati che si erano suddivisi il territorio nazionale kurdo, smembrandolo e cercando di farne persino “pulizia etnica”).

Kossovo - cartina contestuale ad altri stati vicini 2015Ricordo che proprio subito dopo il Natale 1997 la nave Ararat ha fatto sbarcare sulle coste joniche calabresi di Soverato 825 profughi (660 uomini, 84 donne e 81 bambini), gran parte dei quali, in maggioranza kurdi, sono stati ospitati nel semi-spopolato borgo antico di Badolato, creando interesse, ammirazione ed emozione in tutta Europa. Era il primo vero sbarco di massa (dopo quello dimostrativo della nave Vlora che a Bari ha “scaricato” ben 20 mila albanesi). In quella occasione dell’Ararat, ho proposto all’amico cantautore calabro-milanese Claudio Sambiase di rivestire della sua musica due miei testi letterari “Fratelli del mare” e “Angelina di Badolato” dedicati proprio a migranti, esuli, rifugiati e a tutto il popolo in fuga, quello senza nome che, tempo prima (negli anni 1994-1996) aveva trovato il suo poeta in Ysmen Pireci, un intellettuale ed esule approdato in Italia in fuga dalle persecuzioni serbe sul Kosovo. Ad ogni buon fine, ne unisco i testi letterari e gli spartiti musicali.

IL VILLAGGIO SENZA NOME prima pagina Ysmen Pireci L-M 2015Infatti, nell’autunno 1993 in Agnone ho conosciuto Ysmen Pireci (nato il 28 maggio 1967 a Struzhie, paesino del Kosovo in territorio di Prizren) quando era appena giunto in Alto Molise per fare il pastore di pecore assieme ad altri connazionali rifugiati dalla difficile situazione balcanica sfociata poi nel marzo-giugno 1999 nei bombardamenti della NATO contro la Serbia (“ufficialmente” per evitare ulteriori massacri e pulizie etniche nei Balcani). Alla base della nostra buona amicizia (che dura ancora, anche se fa famiglia Pireci da parecchi anni vive in Lombardia ormai ben integrata) c’è stata la comune passione per la scrittura. Ho poi aiutato Ysmen a tradurre in italiano le sue prime dodici poesie (sulle 30 scritte negli anni 1994-1996 a Capracotta) e a pubblicarle nella raccolta intitolata significativamente “Il villaggio senza nome” proprio in onore del popolo dei migranti, degli esuli, dei rifugiati di cui lui stesso faceva parte.

Quindi mi sono interessato a pubblicare queste dodici poesie de “Il villaggio senza nome” alle pagine 16-17 dei Kamastra, rivista bimestrale bilingue (albanese-italiano), diretta da Fernanda Pugliese in Montecilfone (Campobasso), nel numero 2 (marzo-aprile 2000, anno 4°) con la bella ed accorata prefazione di Sabino d’Acunto, il maggior Poeta molisano di allora. Poi, nel 2005, ho voluto inserire tale raccolta nel quinto volume del “Libro Monumento per i miei Genitori” (pagine 263-295). Adesso, sperando che possa piacere ai nostri Lettori e che possa ricordare ed onorare “il popolo senza nome” di tutti i migranti del mondo, allego a questa mia lettera le suddette pagine de “Il villaggio senza nome” con l’augurio che le persone e i popoli possano “migrare” volontariamente (per turismo, istruzione, lavoro e altro) ma giammai più perché perseguitati ed in fuga da guerre, terrorismi, miseria ed ogni altra sorta di martirio. Perché ciò (mai più migranti) sia realtà, vicina o lontana, tocca a tutti, ma proprio a tutti lavorare per la pace tra i Popoli (ogni esitazione o defezione significherà, nel concreto, morti in più, sofferenze e ritardi atroci in più).

PRIMA DEL SILENZIO copertina 1995Caro Tito, come vedi, sono particolarmente sensibile ai migranti per necessità, specialmente se esuli, anche perché mi sento anch’io un esule (e, più che migrante, addirittura “ostracizzato”… sradicato da una terra alla quale bramavo dare tutti i miei frutti quotidiani, esistenziali e sociali). Ed ero sensibile a questo “popolo senza nome” già da prima, poiché ho avuto in famiglia parecchi emigrati, a cominciare dal mio nonno paterno, Bruno Lanciano, che è stato uno dei primissimi a lasciare Badolato per l’Argentina 130 anni fa circa, nella seconda metà del 1800 per poi ritornare definitivamente dopo ben 6 diverse permanenze. Ed emigrato negli USA (dove ha fatto il minatore) è stato il mio nonno materno, Giuseppe Menniti. Un dolore ancora presente nella mia esistenza è il non aver potuto conoscere il mio fratello primogenito, Giuseppe, emigrato in Argentina nel giugno 1950, quando io avevo appena 3 mesi. A questa partenza si riferisce la foto-ricordo che ho evidenziato nella rossa copertina del mio libro “Prima del Silenzio” (giugno 1995) che qui unisco. Nel gennaio 1962, per matrimonio, è emigrata pure mia sorella Rosa per il Sud Australia. Ma il nord Italia, la Svizzera, la Germania sono state mete migratorie pure per altri due miei fratelli e una sorella … per non dire di tanti cari parenti ed amici disseminati in varie parti del mondo. Purtroppo, non c’è famiglia senza migranti da noi, nel sud d’Italia!

Per quanto è stato nelle mie possibilità economiche e di tempo, ho sempre aiutato i migranti. Come nel 1971, quando da studente universitario a Roma, ho sostenuto logisticamente ed economicamente un ragazzo dell’Africa nera, in fuga dalle guerre del suo Paese, riuscendo a trovargli pure un lavoro dignitoso. Altri aiuti ho fornito a ragazzi greci, iraniani, palestinesi e sudamericani in fuga dai loro drammi in quegli anni settanta in cui Roma era diventata città crocevia di molteplici migranti ed esuli. Allora era assai frequente pagare qualche pasto alla mensa universitaria, lasciare il mio letto (mentre io dormivo a terra o sul mio tavolo di studio) a ragazzi “stranieri” in difficoltà conosciuti a Roma e persino di passaggio per Badolato. Tra l’altro, mi è capitato di aiutare, sempre a Roma nei primi anni ottanta, una famiglia di ebrei russi in transito verso gli Stati Uniti, in un momento in cui l’Unione Sovietica (sotto pressioni internazionali) aveva dato la possibilità ad alcuni ebrei di poter lasciare l’impero comunista verso i Paesi democratici occidentali.

E 36 anni fa, il 5 luglio 1979, spinto dalla vicinanza verso le persone senza-tetto, migranti e in difficoltà, ho scritto i seguenti versi, poi pubblicati nel giugno 1995 nel libro “Prima del Silenzio” nella raccolta “30 annotazioni come i nostri 30 anni”:

La città non sa se ti ho dato

uno o mille baci.

Ma la città è attenta e sa chi si odia.

La città sa contare le pallottole

ma solo quelle che fanno rumore.

La città non sa quanti letti si amano

né quanti non hanno un letto

e vagano.

Però la città crede ancora

in chi parla di programmazione

e di libertà.

SPARTITO MUSICALE ANGELINA DI BADOLATONell’estate 1983 a Villacanale di Agnone ho scritto il romanzo (tuttora inedito) intitolato “Ragazza in fuga” proprio per significare quella “Umanità in fuga” (ma anche quel mio sud Italia in diaspora) … messo in fuga permanente dagli egoismi interni ed esterni! Venerdì 5 novembre 1993 alla pagina 9 ho scritto sul settimanale “Corriere del Molise” un articolo in cui auspicavo la coesistenza, anche in Alto Molise, di campanili (cattolici), di minareti (musulmani) e di altri richiami dal momento che i numerosi lavoratori musulmani (e di altre culture e religioni), presenti in queste montagne, formavano (e continuano a formare), come dice l’amico poeta musulmano cossovaro Ysmen Pireci, quel “villaggio senza nome” che avrebbe potuto e dovuto avere una identità minima culturale e religiosa con un luogo di culto … anche per rispettare i diritti umani basilari di chi (“ospite” ma concittadino del nostro Paese) contribuisce con il proprio lavoro alla nostra economia e, quindi, al nostro maggiore e migliore benessere. E nel mio paese natìo, a Badolato, ho cercato (invano) di promuovere, qualche decennio fa, un comitato (favorevole pure l’amico e compaesano architetto e urbanista Giuseppe Carnuccio) per l’edificazione o l’adattamento di un piccolo luogo di culto (anche una semplice tenda) per i musulmani presenti nel nostro comprensorio jonico.

SPARTITO MUSICALE FRATELLI DEL MAREIn tal senso, come Università delle Generazioni, non ho mai cessato di scrivere lettere a sindaci, vescovi, presidenti di regione e di provincia, a scuole ed associazioni territoriali varie per proporre un luogo di aggregazione per i lavoratori esteri (pastori, badanti, operai, ecc.) presenti nella nostra zona di competenza. L’Italia, che solitamente si mostra pure tanto generosa sul fronte dei migranti, lascia a desiderare sul sostegno sociale minimo d’accoglienza e sul rispetto dei diritti umani (come luoghi di aggregazione culturale e come momenti di incontro con le comunità esterne esistenti nei nostri comprensori). Sul finire del novembre 2013, il sindaco di Agnone del Molise, ing. Michele Carosella, mi ha confessato che, spinto dalle mie insistenti lettere, avrebbe voluto almeno riunire tutti gli immigrati in occasione di quel primo giorno dell’anno per gli auguri … ma che poi ha lasciato perdere. Così pure il prof. Giuseppe De Martino, presidente dell’associazione culturale Cenacolo francescano di Agnone, aveva solennemente promesso il 2 giugno 2014 durante una manifestazione pubblica (pure nella sua nuova veste di “Sindaco del popolo e dei migranti”) di intitolare “Casa del Mondo” la palazzina (ex stazione ferroviaria) di Piazza Unità d’Italia per farla vivere come luogo di sana aggregazione e di aiuto per le persone delle tante nazionalità presenti in Alto Molise, ma finora tale “buona intenzione” non ha avuto l’esito annunciato e sperato.

VLORA 20.000 albaresi molo di bari agosto 1991Caro Tito, come puoi constatare, spesso (per tanti motivi, anche giustificabili) non si va al di là delle pur belle intenzioni. E lo capisco, poiché, nonostante la nostra poca o molta fede civile e religiosa (specialmente cristiana) e la nostra cultura umanistica e popolare, è difficile fare bene il bene. Inoltre, come lamenta il Vangelo, la vigna è troppa ma gli operai sono pochi! E, a parte una adeguata corrispondenza economica, ci vogliono anche notevoli risorge ed energie motivazionali ed emotive, psicologiche e mentali oltre che fisiche per rendere partecipi della nostra vita sociale migranti e forestieri che pur dimorano da anni nei nostri paesi e nelle nostre città. Eppure con alcuni di loro ci chiamiamo “Cugì” (cugini) quando ci incontriamo al bar o al mercatino, specialmente con i simpatici immigrati di origine marocchina. Però siamo ben lontani dal sentirci “cugini” nel concreto quotidiano!… Così pure resta assai difficile creare un rapporto di cordialità normale ed aggregativa (fatta eccezione per isolati episodi come una partita di calcio o una tavolata) con migranti e rifugiati di questi anni, ospiti istituzionali dei nostri paesi dove sembrano più parcheggiati e tollerati che accolti e inseriti!… Gli immigrati, tra tanto altro, stanno misurando la nostra fede religiosa e i nostri convincimenti civili e … per il momento (è solo una mia opinione!) non stiamo facendo, a parte qualche lodevole eccezione, una buona figura personale e sociale!…

MAPPA-ESODOSpesso nella mia mente (pure io stesso da emigrato) considero, tra tanto altro, quale sofferenza sia per gli immigrati di prima generazione sentirsi in una posizione psicologica e sociale disarticolata, dal momento che non appartengono più al loro popolo (infatti quando ritornano al loro Paese sono considerati “italiani” mentre in Italia sono considerati “stranieri”). Conosco molti di loro che hanno dentro questa sofferenza, infinitamente grande per alcuni. Così come conosco alcuni loro figli, nei quali questa disarticolazione identitaria è un po’ attenuata, poiché si sentono più “italiani” anche se originari del Paese genitoriale. Forse bisognerà attendere la terza generazione perché questi innesti socioculturali siano più perfettamente fruttuosi, operativi e con molta meno sofferenza e discrepanza. Un po’ come è successo ai nostri emigrati all’estero e in altre regioni italiane.

Ho notato, infatti, che bisogna attendere la terza generazione perché il Paese di provenienza dei loro nonni sia una eco piuttosto lontana e non più adatta a disturbare, a turbare o ad ostacolare la completa integrazione o assimilazione nei Paesi e nelle regioni di migrazione. Soltanto con la terza generazione “Il popolo senza nome” conclude il suo itinerario di migrazione dissolvendosi nel popolo che ha un vero nome, una capitale ed una precisa identità. Ma quanta sofferenza intergenerazionale passa prima di giungere a questo passaggio definitivo! Mi sento profondamente vicino a “popolo senza nome” … anche se tutti dovremmo avere l’unitivo nome di vera “Umanità”!!!…

Caro Tito, per me è importante evidenziarti che simbolicamente ho abbozzato questa lettera in Agnone del Molise lunedì 29 giugno 2015 (nella giornata dedicata dalla Chiesa Cattolica ai santi Pietro e Paolo, patroni di Roma, città dove sono giunti proprio per renderla “capitale globale del popolo di Dio” … un popolo … una capitale!), ma voglio inviartela martedì 14 luglio poiché oggi ricorre il 226° anniversario della “Rivoluzione Francese” (presa della Bastiglia) la quale (nonostante tutto) ci ribadisce (in modo più laico rispetto agli stessi valori del Vangelo) ancora e sempre maggiormente la necessità che l’Umanità abbia “liberté, egalité, fraternité” !!! … E mi sembra persino “rivoluzionario” ricordarlo proprio adesso che il mondo e l’Europa in particolare rischiano uno strangolamento economico-finanziario tale da oscurare lo stesso diritto alla sopravvivenza allontanando o quasi annullando le pur naturali ed insopprimibili aspirazioni alla libertà, alla uguaglianza, alla fraternità … valori e condizioni che, pur a macchia di leopardo, molti popoli si erano già conquistati con grandi o immani costi territoriali ed umani.

Buona “liberté-egalité-fraternité” a tutti! Cordialità,

Domenico Lanciano Giornalista

Domenico Lanciano

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